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di
Ferdinando Camon
L'assassino
della piccola Sara, di Bologna, età 9 anni, s'è
beccato l'ergastolo l'altro ieri, il che vuol dire che,
avendo adesso solo 24 anni, passerà mezzo secolo in galera.
I giornali lasciavano intendere: "E' giusto così".
Solo la madre ripete: "Ci vorrebbe la pena di
morte". Quando ammazzano una bambina o un bambino,
tutti i genitori d'Italia si sentono genitori di quella
bambina o di quel bambino, e ragionano come i suoi genitori
veri: e dunque tutti sono, in quell'occasione, per la pena
di morte. Ecco perché è pericolosa l'idea, che si
riaffaccia ogni tanto, di sottoporre a referendum il
ripristino della pena di morte. Se il referendum cade in
giorni come questi, ripetutamente scossi e spaventati da
infanticidi e parricidi, è possibile che ci scappi la
maggioranza di sì. Stiamo attraversando un'epoca che non ha
né patria né Dio né valore alcuno, solo la famiglia, che
è il santuario del "particulare", non del
sociale. Nella famiglia il centro del centro sono i figli, e
i figli dei figli. Non i genitori: possono separarsi e
andarsene fin che vogliono, nessuno griderà allo scandalo.
Ma i figli non si toccano. Ecco perché i delitti in cui un
genitore ammazza un figlio, o un figlio ammazza un genitore,
scuotono i nervi e i cervelli della nazione. Non c'è scusa
che tenga, tranne la pazzia. Appena scoprono un infanticida,
subito la difesa punta su una sola carta: era pazzo, o
almeno semipazzo. Con la pazzia spera di strappare l'impunità,
con la semipazzia una condanna inferiore all'ergastolo.
C'è
una foto del giovane che ha ucciso la piccola Sara, che
vale da sola un'arringa. Il giovane tiene la testa bassa,
come un toro che carica, nera, cespugliosa, nemica, ma dal
basso guarda in su, più che può, con uno sguardo maligno.
Quando vediamo l'occhio di un assassino, ci sentiamo la sua
vittima, l'assassinato. Quell'occhio torvo ci sta guardando,
è lui, ci uccide semplicemente perché è cattivo. La
difesa ha tirato fuori la cattiveria che lui aveva subìto:
straniero, abbandonato a cinque anni, mendicante per tutta
l'infanzia. Uccidendo una bambina, compiendo l'orrore, ha
restituito l'orrore che gli avevano caricato nel cranio.
L'accusa ha smontato tutto: era cittadino italiano, aveva
una casa, aveva una famiglia, aveva una compagna, che cosa
voleva di più? Uccidere? Allora paghi.
Lo
trovo un ragionamento spietato ma giusto. Non tutti
meritano pietà. Chi strangola una bambina di 9 anni, dopo
averla violentata, fa il massimo male che possa fare, e
dunque espii con la massima pena. Il lettore mi scuserà se
ripeto qui uno slogan che non è mio ma di Sartre:
nessuno è responsabile del male che gli hanno fatto, ma
ognuno è responsabile dell'uso che ne fa.
Costui ha ricambiato male con male. Di questo ricambio deve
rispondere. La condanna a vita è fatta su misura per lui.
E ora,
a Cogne, piccolo duro paese della Val d'Aosta, il piccolo
Samuele, 3 anni, è stato ucciso a colpi di piccozza.
Venti colpi, quando ne bastava uno. Di piccozza, quando
bastava un coltellino. Ha alzato una manina per proteggersi,
ma nella furia gliel'hanno trapassata. Se la piccola Sara è
stata uccisa per coprire una vergogna (l'avevano stuprata),
il piccolo Samuele è stato ucciso gratis. La colpa sembra
crescere a dismisura, e invece, pietà per la carne umana,
scende fin quasi a zero: le indagini dicono che è stato
ucciso in un raptus di follia. E' qui il problema che
deciderà tra l'ergastolo e la cura psichiatrica. Non sempre
colui che uccide è colui che uccide: a volte ci sono
diverse persone dentro di lui, e una di queste, sconosciuta
a lui stesso, è quella che usa la pistola o il coltello o
l'ascia. Una personalità che si affaccia di colpo, esegue
il delitto con frenesia, e di colpo sparisce. Colui che
contiene questa personalità collabora con la polizia come
può. Il mostro di Foligno partecipava alle ricerche, ma era
schizofrenicamente tagliato in due: uno che voleva trovare
(il cercatore) e uno che non voleva trovare, perché si
sentiva il ricercato. Ormai sappiamo che c'è una costante,
in questi delitti: chi uccide un bambino uccide tutti, e fra
i tutti comprende se stesso. A maggior ragione quando a
uccidere è un padre o una madre. Uccidendo un figlio,
uccide la propria sopravvivenza, e dunque vuole proprio
farla finita, con tutto sé stesso e con tutta la propria
vita, questa e quell'altra.
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