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Le parole e le bombe


Ferdinando Camon

Puntuale come una cambiale, nel momento giusto e nella città giusta, contro i giusti obiettivi, è arrivata la bomba. Il momento giusto: dopo la guerra del G8, la bomba come rifiuto della pace. La città giusta: la più internazionale, la più indifesa e indifendibile, la più pacifica, per costrizione e per educazione. E' una bomba prevedibile da mesi.

Già da quando qualcuno disse, e scrisse, e firmò e fece firmare, che nelle elezioni che stavano per svolgersi in Italia, se vinceva una certa parte vinceva la democrazia, e se vinceva la parte opposta vinceva l'antidemocrazia. Stimavo e apprezzavo, per tante ragioni, coloro che poi firmarono e promossero quella dichiarazione, ma non posso condividere una sola riga di quella dichiarazione. Dire che è questione di democrazia e antidemocrazia significa che se vince la parte opposta, bisogna combatterla come si fa con ogni antidemocrazia al potere: e cioè con le bombe, gli attentati e le stragi. Il che non significa che coloro che pronunciarono e firmarono quelle parole abbiano messo la bomba o ordinato di metterla, ma che coloro che l'hanno messa (chiunque siano) avevano nella testa quelle parole, le stavano riascoltando. Quelle parole inaugurarono un clima da guerra civile, che non si disintossica ma s'invelenisce sempre più. Se la parte che governa rappresenta l'antidemocrazia, allora non solo non è bene obbedirle, ma è bene disobbedirle, qualunque cosa ordini o faccia o chieda.

Il G8 a Genova era stato programmato da un capo di governo della parte "democratica", ma fu poi realizzato da un capo di governo della parte "antidemocratica", perciò diventò così inaccettabile che il capo di governo democratico, sceso dal potere, pensò di manifestare pubblicamente contro la sua stessa creatura. A Genova si riunirono migliaia e migliaia di manifestanti, in gran parte pacifici, in piccola parte violenti, ma tutti accomunati da una base: che la parte che stava governando era antidemocratica, e non bisognava obbedirle. Tra i divieti da violare, il più radicale era il rispetto della zona rossa, dentro la quale i capi di governo stavano decidendo. La violazione del divieto incarnò lo scontro tra la violenza rivoltosa anti-Stato, e la forza dello Stato. Ma se lo Stato è illegittimo, allora quella violenza anti-Stato diventa legittima: è la sottile ambiguità in cui caddero alcuni partiti, schieramenti, tv e giornali. Fra tre poliziotti assediati dentro una camionetta, con le teste rotte, e due manifestanti che cercavano, uno da destra con un'asse, un altro da dietro con un estintore, di rompere quel che rimaneva delle loro teste, poiché erano teste di poliziotti cioè dello Stato illegittimo, questa fetta di politici-giornali-tg parteggiò per i rompitori di teste, col chiaro messaggio che se i poliziotti morivano erano democratici, se sparavano erano fascisti. Uno sparò. E fu chiamato assassino.

Il clima da "resa dei conti" coinvolse anche dei poliziotti, che credendosi non visti e non punibili (che non è mai un loro diritto) trattarono i dimostranti come nemici dello Stato. Il precedente capo di governo parlò di "regime cileno e fascista". Domanda: si può mettere una bomba in un regime cileno e fascista? Non si può: "si deve". Non dico che l'ex capo di governo abbia "chiamato" la bomba di Venezia, ma temo che chi l'ha messa abbia sentito le sue parole, e non le abbia dimenticate. Mettendo in fila la prima dichiarazione ("se vincono le elezioni gli altri, sarà la fine della democrazia") e le intermedie ("contro il G8 bisogna fare la guerra") e le finali ("in Italia ci sono forze di polizia fasciste e cilene"), e traguardando con la biffa del geometra, come direbbe padre Dante, in fondo, alla fine della linea, si vede scoppiare la bomba. Non importa se chi l'ha messa lo sa e ne è cosciente. Importa che la linea sia una retta, e abbia una sua maligna consequenzialità. La linea va smontata risalendo a ritroso, fino al punto di partenza: quando si svolgono le elezioni, bisogna purtroppo accettare che possano vincere gli altri. Può lasciare scontenti, ma se non si accetta questo principio, è inutile mettere le bombe dopo: tanto vale metterle prima. Dopo si possono trovare tanti pretesti (il comportamento della polizia, se è quel che pare dai filmati, è un'onta internazionale), ma sono soltanto pretesti, per di più provocati: la vera causa è che non bisogna più sentire l'alternanza al potere come la fine del mondo.


 

Il Giorno, 11 Agosto 2001

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