Marco Pantani:

 

Pantani era giovane, triste, eroico, debole, caro agli dei, non un malato

La depressione non esiste
 

 

Il Foglio

Mettendo sempre di mezzo la depressione, riducendo tutto a giudizio clinico, pensando e lasciando pensare che la materia abbia un’anima in proprio e indipendente dall’uso che ne facciamo noi, che le cose producano un’attività spontanea e facciano male di per sé, anche la chimica, anche le droghe, anche il doping o l’alcol o qualunque altra sostanza, finiamo per espropriarci della modesta e timorata gioia di vivere (con un tanto di intensità e di significato) che ci hanno donato il mito, la religione, la letteratura, la musica, e perfino il buonsenso.

Un tempo c’erano i casi umani, ora solo casi clinici. In questa degenerazione positivista della casistica Marco Pantani non è più un uomo che muore a trentaquattro anni, un uomo solo e triste, anzi inguaribilmente disperato dopo anni di fatica e di agonismo, è un paziente o un mancato paziente, un depresso, uno che aveva bisogno di un dottore, non di un amore profondo, non di amici forti e rocciosi, non di se stesso.

Il pirata diventa un’appendice dell’alchimia in pillole, un ematocrito agonizzante, una variante in provetta del pensiero unico psicologico, uno che ha sbagliato medicina. Quando morì Marilyn Monroe, all’inizio degli anni Sessanta, la medicalizzazione dell’esistenza non aveva erudito ancora i sentimenti e l’intelligenza pubblica, ci si consentiva di pensare che in quella morte contavano sopra ogni altra cosa la tormentosa energia che si disperde nelle grandi bellezze, l’amore e la delusione, l’insieme di penosi ingombri che intasano la vita della città, il lavoro, il successo e lo specchio di Narciso.

La depressione esiste in geologia e in meteorologia, gli uomini e le donne sono avvallamenti e meteore più complicati, la loro struttura è differenziata fino all’eccesso più estremo e misterioso, non è riducibile a un impasto insensato di genetica, ormoni e chimica. Uno pedala e risparmia, si sistema e coltiva il suo giardino, aspetta la morte in casa sua e accetta senza altra pena che quella quotidiana la strana dimensione dello stare al mondo, di abitarci senza febbre. Un altro no. Scambia la notte con il giorno, si fa contagiare dalla malinconia, non sa farsi domande e non può rispondersi, e balla e si dimena e cade out of the cradle endlessly rocking, fuori della culla che dondola in eterno. Che cosa c’è di male a riconoscere che un giovane uomo si è lasciato vincere dalla tristezza, che era forte della sua debolezza, che era caro agli dei e che quella era la sua salute, la sua salvezza, poiché non era un malato?
 

 

Marco Pantani: «Pantani era giovane, triste, eroico, debole, caro agli dei, non un malato. La depressione non esiste», Il Foglio, 17 Febbraio 2004

 

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