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Mina
MI basterebbe la non
maleducazione, la non villania, la non aggressività, la non prevaricazione
bieca. Farei anche a meno dell’educazione, nel senso dell’accezione
classica. Ho trovato più grazia nell’uomo totalmente ignorante che nei male
acculturati. La stessa grazia che poi si ritrova in persone con un’altissima
cultura. E questo lo diceva Pasolini, con la solita inesorabile lucidità di
analisi.
È la via di mezzo, che comprende la stragrande maggioranza degli abitanti
del pianeta, che provoca sbandamenti, complessi, disadattamenti. Insomma,
problemi seri. E non si può neanche attribuire la colpa soltanto alla
mancanza di maestri illuminati. E, probabilmente, neppure soltanto ai
genitori. La carenza educativa è questione epocale, forse addirittura
culturale. Ne discutono ampiamente in Francia, dove, dopo giorni di analisi
veterosociologiche per spiegare le banlieues in fiamme, scendono in campo i
filosofi: chi analizza il fallimento dei modelli educativi e chi adotta la
categoria del nichilismo per capire l’odio incendiario.
E che la questione educativa non riguardi solo i giovani francesi, ma sia
un’emergenza anche nostra lo dimostra l’appello sottoscritto da quasi
sessanta intellettuali, docenti universitari, direttori di giornali e
imprenditori che, prendendo spunto da una frase di don Giussani, si
rivolgono a «chiunque abbia a cuore il bene del nostro popolo» per segnalare
l’urgenza di ripartire dall’educazione. Nel casino delle parole che non
dicono più niente, condensate in dibattiti che diventano liti, in sondaggi,
in cori da curva Sud, in tesi precostituite, non si colgono contenuti forti
che sappiano scalfire la scorza mentitora del nulla. In un Occidente stanco
e ripiegato dominano gli slogan della totale equivalenza della tesi e
dell’antitesi, della mia verità che è uguale alla tua, del dubbio metodico,
dell’esaltazione del relativo.
Ad un ragazzo che vive di modelli che comunicano l’immediatezza del
successo, come si può trasfondere il desiderio di migliorarsi, la stimolante
curiosità che permette di entrare nella realtà per coglierne il gusto, il
fascino, il senso e il mistero? Chi dirà a quella ragazza di Udine, che si è
spogliata in aula davanti ai compagni per essere eletta rappresentante di
classe, che ci si afferma a costo di fatica, di impegno, di pazienza?
Occorre che la vera ribellione passi dalle banlieues ad ogni contesto,
pubblico e privato, in cui viva un uomo in crescita. Che desidera una vita
libera e la vuole comprendere, condotto da chi la condivida con lui.
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