|
Mina
Come la vuoi? Di fate, di
maghi, di streghe cattive, di animali semplici, di animali parlanti o di
pesciolini? E prima lui e poi lei, i miei due figli, con gli occhi già
enormi che si allargavano ancora di più, rimanevano pensierosi giusto un
momento e sceglievano quasi sempre: animali parlanti. E allora... c'era una
volta un bambino piccolo piccolo che aveva un cane piccolo piccolo che aveva
una particolarità. Mamma, che cosa vuol dire particolarità? E via di questo
meraviglioso, indimenticabile passo con la sera, fuori, che si faceva più
scura e rendeva la fiaba più reale.
Io ricordo tutto, e come potrei dimenticare? Loro niente o quasi. Perché
erano piccoli, molto piccoli, ma la dolcezza della fantasia dedicata
soltanto a loro, quella, qualche traccia deve averla lasciata. E poi nemmeno
io ricordo le fiabe che mi raccontava mia madre. Ed è un grande dolore, ma
mi fa capire che è giusto così. Quello che si fa per i figli non lo si fa
perché se lo ricordino. Ma per il piacere, per il bisogno di avvicinarti
ancora di più oltre che con le mani, le guance, il petto, con il pensiero
lento, semplice e lungo che, sono convinta, rimane anche se allo stato
subconscio.
E poi che fortuna! Allora non c'erano ancora i videogiochi che accorciano
vertiginosamente il periodo della tenerezza serale. Oggi, appena prendono
coscienza di possedere dieci piccole dita, le utilizzano subito per
agitarle, con la velocità della luce, su una tastiera o per brandire un
mouse o un joystick. Tutti problemi ben noti da tempo a pedagogisti ed
esperti riuniti in questi giorni a Berlino in un congresso internazionale,
che si tiene in occasione del bicentenario della nascita del grande
favolista danese Hans Christian Andersen.
Si discuterà di come mettersi al capezzale della fiaba moribonda ed operare
un estremo tentativo di rianimazione delle facoltà creative, di sogno e di
fantasia, che nei bambini, sempre più internettiani e videogiochisti,
sembrano in via d'estinzione. Compito arduo, perché si tratta di rimettere
al centro del rapporto educativo le madri e le nonne, rese di nuovo capaci
di affabulare e magari di cantare una ninna nanna. E quindi spegnere i
jingle pubblicitari e le videate virtuali, per ricostruire quel dolcissimo
angolo fatto di copertine rimboccate, di pigiamini profumati, di biberon
appena caldini, di parole sussurrate. E lì, in quel luogo dell'infanzia
amata, tornare a raccontare i simboli, ingenui ma penetranti, del bene e del
male, gli archetipi della saggezza, le trame che sono lo specchio magico in
cui il bambino riflette paure e desideri. E, senza saperlo, cresce. E con
lui, il mondo.
|
|