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Mina
Solo alle madri. Come prima
reazione, sono riuscita a pensare solo alle madri di quei bambini fatti a
pezzi a Baghdad. E credo che ogni donna sia diventata, sotto
l'insopportabile percossa di quella atroce notizia, la Madre. Lo strazio
diventa personale, intimo, lacerante. “Mio figlio ammazzato per una
caramella che io non potevo procurargli”.
E nelle urla, negli alti gridi di disperazione, sentivo il silenzio, il
lutto duro, muto, che non avrà mai fine. Che non avrà mai fine.
Come se ne esce? Questa piccola, insignificante, disperata voce chiede: come
se ne esce?
Voi vi siete abituati a questi ammazzamenti che fanno sembrare gli orrendi
film di violenza dei cartoni animati di Walt Disney? Io no.
Esiste una mente illuminata, una, che possa darmi una risposta? E che possa,
nella pratica, fare realmente qualcosa per fermare questa fine del mondo?
C'è chi dice, tranquillamente: “Sai, non c'è niente da fare. È la guerra”.
Accavalla le gambe con aria nonchalante e si accende una sigaretta, certo
che a lui non capiterà.
Poi invece succede. A Baghdad come a Londra, succede a Beslan come a Madrid,
succede a Tel Aviv come a New York. E mentre siamo invischiati nella sequela
di commenti, più o meno indignati, più o meno sinceri, più o meno schierati,
col passare dei giorni ci illudiamo che è meglio non pensarci. Anche se è
certo che capiterà anche da noi. Già, perché non dovrebbe?
La guerra urla sempre. Costringendo le madri a gridare il lutto per i loro
figli spezzati. È sempre stato così, fin da quando Vandali, Visigoti o Unni
dilagavano nelle terre d'Occidente e razziavano con disprezzo civiltà e vite
umane. La guerra fa urlare chi, a mani nude, a cuore nudo, cerca di
resistere. Devasta e trova terreno fertile in un Occidente che è sempre più
simile a un deserto avanzante. La guerra scorrazza in un'Europa pallida,
infiacchita e stanca, preparandole una cassa da morto, dove rinchiudere quel
che resta dei tesori di bellezza e di civiltà che ci hanno lasciato i nostri
padri.
Ma questa terra è sempre riuscita a salvarsi. Perché c'è sempre stato
qualcuno, spesso in silenzio, che ha costruito e ha vissuto la vita con
amore. Che non ha mai pensato alla vita come sottomissione. Che concepisce
l'esistenza come l'espressione suprema della libertà, intesa come un
continuo dare inizio alle cose. Che non segue l'idea di Edmond De
Goncourt che diceva amaramente di amare figli, ma di amarli troppo per dar
loro la vita.
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