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Mina
La forma della paglia radunata
e trattenuta con il fil di ferro è rotonda, cilindrica, per la precisione.
Una volta era rettangolare, parallelepipoidale, per la precisione. Una
volta. Quando il Po era una persona con la quale si poteva parlare. Ti
sedevi sulla sua riva, sola, nella tua vestina leggera a righette o a
fiorellini, con un gelatino in mano o una gasosa e iniziava il lungo
discorso muto, completo, senza paure, remore, senza nascondere niente. Lui
capiva. E ti rispondeva come risponde un dio, solenne e intrattabile. E te
ne andavi come sollevata. “Meno male che c'è qualcuno che mi capisce”.
Erano tempi acerbi. Tempi che ti impedivano di capire che una persona vera,
di carne, di severità, di apprensione, di amore timido e timoroso era
l'interlocutore giusto al quale dare retta. O, per lo meno, ascolto.
Proprio ieri, nella strada verso il mare, ci sono passata sopra. Al mio Po.
È magro e scopre isolotti di terra sabbiosa di colore ambrato. Benedetti
quegli isolotti, che ci nascondevano da sguardi indiscreti di madri, amiche
di madri e pettegole varie che vedevano in un gruppetto di ragazzi che
raggiungevano quelle piccole isole chissà quali peccaminose intenzioni.
Invece era la nostra casa, dato che quella vera non ci apparteneva più di
tanto, vista l'età. E allora si portava il pane col salame, le aranciate, la
radiolina a transistor e si stava lì con la certezza che quella
assomigliasse molto alla felicità.
“Il Po è in secca”, dicono. Non fidatevi. Il Po si nasconde. Lo fa di quando
in quando, a scadenze di tempo non prevedibili neppure dai più accorti
meteorologi. Così come non sono prevedibili le ragioni che lo spingono a
questi momentanei ritiri. Solo a chi lo sa ascoltare, sia che gorgogli come
se fosse sul punto di morire sia che schiaffeggi potente i piloni del ponte
o accompagni amorevolmente l'andare lento delle chiatte, rivela il perché.
Non vuole alzare la testa e preferisce nascondersi per risparmiarsi la
visione di tempi che non riconosce più. Non vede più i baracchini,
certamente abusivi, dove qualche oste rubescente ti serviva frittura di
ambulina. E nemmeno appoggiandosi sulle rive più alte, riesce a percepire il
profumo carico e pesante di un cotechino di apparente colore bordeaux, ma
che sotto nasconde delizie che ondeggiano tra il rosso cardinalizio e il
viola vescovile.
Lo rassicurerò, in nome della nostalgia e della mia vis archeologica. Sono
una figlia lontana, ma con la memoria di ferro dove, almeno lì, tutto si
conserva e nulla si perde.
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