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Mina
Doveva essere una delle ultime
volte che era uscito per andare al cinema.
Sì, era proprio l'ultima volta. Adesso se lo ricordava. Era tanti anni fa.
Faceva freddo e lui aveva raggiunto i colleghi d'ufficio, stretto nel suo
cappotto invernale con nelle tasche qualche caramella di menta da offrire
agli amici durante la visione. Pregustava la festa che gli avrebbero fatto
al suo arrivo, davanti al “Supercinema”, dove si erano dati appuntamento.
“Sarà già cominciato”, pensò quando non vide nessuno. “Ah, ci sei anche tu”,
lo salutò un collega invitandolo, allora, a fare il biglietto perché tutti
gli altri l'avevano già. Il sorriso, comunque, era continuato per tutto il
tempo dello spettacolo. Poi, all'improvviso, un pensiero più pesante dei
soliti gli toglieva la serenità. Aveva avuto addirittura il sentore che
Fantozzi potesse rappresentare cattivi presagi di sfortuna per ogni
impiegato poco incline alla ribellione e sempre più vicino al pavimento che
alla scrivania. Uscito dal cinema, Giustini presagiva che le risate sentite
fossero un impietoso scherno per un perdente. Da allora aveva cominciato ad
interrogarsi sul proprio comportamento arrendevole e pacato, come
predestinazione a fantozziano destino. Con un po' di soldi risparmiati era
riuscito a collezionare libri e cassette in modo da costruirsi un giudizio
sereno e autonomo, lontano da clamori sguaiati inevitabilmente provocati da
capitomboli nel fango, urla di dolore smisurato, sconfitte disastrose, colpi
al basso ventre, umiliazioni esorbitanti. A volte gli era venuto il dubbio
che il proprio carattere fatto di arrendevolezza, di bellicosità non
differente da quella di una brioche, e il piglio sempre intenerito dalla
dolcezza potessero immischiarlo con le storie del ragioniere
cinematografico. Ma alla fine rideva. Rideva sempre di questi pensieri,
rassicurandosi che non si poteva fare confusione sulla sua felicità di base.
Lo aveva fatto vacillare l'entrata nel vocabolario dell'aggettivo
“fantozziano”. Era sicuro di non avere mai l'occasione di percorrere un
simile processo. “Giustiniano” non sarebbe mai stato adottato come
aggettivazione del proprio cognome. Aveva, però, paura di vedere affibbiato
il pericoloso qualificativo alla sua storia d'amore. Tant'è che aveva visto
in Fantozzi una funzione addirittura istruttiva. E aveva sentito il dovere
di osare di più, di farsi valere con quella determinazione che solo lui
sapeva coniugare, pianino pianino, con la cautela dei forti. E da quel
tempo, Fiamma Fuochini, dagli occhi morbidi e ancora celestini, riceve sul
suo davanzale qualche fiore e qualche regalino in più.
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