Mina

264. SAPER OSARE

 La sottile lezione del ragionier Fantozzi
 

 

Mina

Doveva essere una delle ultime volte che era uscito per andare al cinema.
Sì, era proprio l'ultima volta. Adesso se lo ricordava. Era tanti anni fa. Faceva freddo e lui aveva raggiunto i colleghi d'ufficio, stretto nel suo cappotto invernale con nelle tasche qualche caramella di menta da offrire agli amici durante la visione. Pregustava la festa che gli avrebbero fatto al suo arrivo, davanti al “Supercinema”, dove si erano dati appuntamento. “Sarà già cominciato”, pensò quando non vide nessuno. “Ah, ci sei anche tu”, lo salutò un collega invitandolo, allora, a fare il biglietto perché tutti gli altri l'avevano già. Il sorriso, comunque, era continuato per tutto il tempo dello spettacolo. Poi, all'improvviso, un pensiero più pesante dei soliti gli toglieva la serenità. Aveva avuto addirittura il sentore che Fantozzi potesse rappresentare cattivi presagi di sfortuna per ogni impiegato poco incline alla ribellione e sempre più vicino al pavimento che alla scrivania. Uscito dal cinema, Giustini presagiva che le risate sentite fossero un impietoso scherno per un perdente. Da allora aveva cominciato ad interrogarsi sul proprio comportamento arrendevole e pacato, come predestinazione a fantozziano destino. Con un po' di soldi risparmiati era riuscito a collezionare libri e cassette in modo da costruirsi un giudizio sereno e autonomo, lontano da clamori sguaiati inevitabilmente provocati da capitomboli nel fango, urla di dolore smisurato, sconfitte disastrose, colpi al basso ventre, umiliazioni esorbitanti. A volte gli era venuto il dubbio che il proprio carattere fatto di arrendevolezza, di bellicosità non differente da quella di una brioche, e il piglio sempre intenerito dalla dolcezza potessero immischiarlo con le storie del ragioniere cinematografico. Ma alla fine rideva. Rideva sempre di questi pensieri, rassicurandosi che non si poteva fare confusione sulla sua felicità di base. Lo aveva fatto vacillare l'entrata nel vocabolario dell'aggettivo “fantozziano”. Era sicuro di non avere mai l'occasione di percorrere un simile processo. “Giustiniano” non sarebbe mai stato adottato come aggettivazione del proprio cognome. Aveva, però, paura di vedere affibbiato il pericoloso qualificativo alla sua storia d'amore. Tant'è che aveva visto in Fantozzi una funzione addirittura istruttiva. E aveva sentito il dovere di osare di più, di farsi valere con quella determinazione che solo lui sapeva coniugare, pianino pianino, con la cautela dei forti. E da quel tempo, Fiamma Fuochini, dagli occhi morbidi e ancora celestini, riceve sul suo davanzale qualche fiore e qualche regalino in più.
 

 

Secondo me: «264. SAPER OSARE / La sottile lezione del ragionier Fantozzi» - di Mina, La Stampa, Sabato 11 Giugno 2005
http://www.minamazzini.com/

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