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Mina
L’APPELLO DI CIAMPI / Largo ai
giovani e alle loro speranze
Magari, Presidente! Da cinquanta anni sento gli spettacolari inviti alla
fiducia nei giovani. E nel frattempo ex-giovani e neo-vecchi si sono
mischiati senza quasi più riconoscersi. La demografia, imperterrita, ha
cambiato i propri connotati. Vita media, età media della popolazione,
aspettativa di vita aumentano. E noi, in questo periodo, stiamo sprecando
tempo a dibattere di esistenze crioprotette, con età inferiore a zero, con
fantaproposte di utilità ipotetiche. Nei suoi occhi sinceri e saggi
intravedo una raccomandazione leale, la stessa che in tante occasioni aveva
espresso il precedente Papa.
Oggi ancora fingiamo di non sapere a chi si possa affidare il futuro e
perseveriamo un po’ troppo nell’equivoco demagogico della speranza nelle
nuove leve. Eppure avremmo l’occasione storica di modificare i termini del
problema. Sarebbe semplice imporre per legge il parametro del tempo per le
responsabilità. Non può essere eterno, nella sua malinconia, nella sua
staticità, nella sua inadeguatezza di vocabolario. Dovrebbero andare al
macero le carriere perenni, i mandati pressoché divini, le dirigenze
inconfutabili e tutto il Bostik burocratico che istituzionalmente è spalmato
sulle poltrone. La classe accademica, per esempio, soltanto se
obbligatoriamente ringiovanita, potrebbe esprimere novità nell’essere fulcro
del motore di un popolo, attraverso la produzione di conoscenza,
l’innovazione, la formazione dei successori.
Grande, convinta ed estremista estimatrice dei cosiddetti vecchi, certamente
non li lascerei languire nelle sabbie mobili del pensionamento, tutt’altro
che assicurato, ma ne indicherei piuttosto l’impegno retribuito nella
maestosa funzione della tutorship e della mentorship, attualmente solo
paroloni da esibire nell’elenco degli obblighi dei leader.
I giovani non si fanno largo perché, molto banalmente, non c’è posto. Basta
con gli «avvinti come l’edera». Altrimenti «le potenzialità delle nuove
generazioni», quelle che fanno dire al Presidente che in loro si può trovare
«speranza, anzi certezza», cederanno, come sempre, di fronte al torpore,
alle dispute, al mugugno.
Penso alle aule scolastiche che tra pochi giorni si svuoteranno. E alle
caterve di parole che lì si pronunciano. Quante di queste aprono alla
ricerca, alla domanda, allo stupore dei sogni che chiedono di tradursi in
realtà? Chiudendo il registro, l’ultimo giorno di scuola, mi piacerebbe che
qualche docente ripetesse ciò che disse il precettore di Carlo V alla fine
del suo compito: «Sire, non dimenticate mai gli ideali della vostra
giovinezza!».
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