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Mina
Con la vana speranza che non
sia un ulteriore espediente per muovere le vendite di cioccolatini, torte e
oggettini inutili, che verranno comunque conservati come il premio Nobel,
salutiamo l’arrivo de «il giorno dei nonni». Per ora votato all’unanimità,
senza tema di conflitto d’interessi, da tutti i senatori. Per la cronaca,
trattasi del 2 ottobre, giorno che la liturgia cattolica riserva alla
memoria dei santi angeli custodi. Oddio, sarebbe stato meglio chiamarlo «il
giorno dei bisnonni». Il termine «nonno» non è più applicabile a chi
comunque rimane padre del padre. Non esiste più la vecchietta del cacao.
L’iconografia è totalmente cambiata. Oggi i nonni sono freschi e aitanti e
non hanno nessuna intenzione di cedere le armi. Alcuni si aiutano con la
palestra e con la chirurgia estetica; altri, più fortunati, sono perfetti e
ancora «appetitosi» per cavoli loro. Potrei fare un elenco, ma mi limito a
riferirvi di un signore di novant’anni che è ancora un gran figo e, se lo
guardi negli occhi intelligenti e azzurri, scopri che l’espressione è la
stessa, la stessa dei suoi trent’anni.
Ma l’età, come si dice, non ha importanza. Fosse vero... È il ruolo che ci
interessa e allora forse è il caso di dire che nonni si nasce. O non si
diventa mai. Come documenta, credo, anche una recentissima sentenza della
Corte di Cassazione. Un bimbo di tre anni, figlio di una donna ospite di una
comunità terapeutica per tossicodipendenti e non riconosciuto dal padre, è
stato accudito per tre mesi dalla nonna materna, finché il Tribunale per i
minorenni lo ha dichiarato adottabile da un’altra famiglia «a causa dell’età
inoltrata» della nonna. La quale non si è data per vinta e a forza di
ricorsi è arrivata fino alla Cassazione, che dopo due anni ne ha
riconosciuto le ragioni e la capacità di garantire al nipote lo stesso ruolo
affettivo dei genitori inesistenti.
Non esiste limite temporale alla possibilità di amare. Picasso dipingeva
ancora a 90 anni, Jean Guitton, morto a 98, continuava a scrivere di
filosofia pochi mesi prima di andarsene. E volendo citare dei vegliardi di
non strettissima attualità, valga il caso di Sofocle che, a 90 anni,
trascinato in giudizio per una causa di interdizione intentata da un figlio,
per difendersi lesse davanti ai giudici alcune parti di una tragedia che
aveva appena finito di scrivere, l’«Edipo a Colono».
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