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Mina
Saremo anche un popolo di fallocefali, un'accozzaglia di cialtroni, ma
l'ipotesi di escludere l'italiano dalle conferenze-stampa dell'Ue mi pare
decisamente troppo. Certo, se il provvedimento servisse ai giornalisti
nostrani per capire quel che si dice nel burocratificio di Bruxelles, senza
la mediazione degli interpreti, la cosa potrebbe anche essere un utile
esercizio di apertura ad altre espressioni linguistiche. In fondo, un po' di
fatica non ha mai fatto male a nessuno.
Purtroppo, però, non vedo alcun intento educativo nell'ennesima malefatta
europea. Esigenze di contenimento dei costi? Volontà di evitare la
proliferazione delle traduzioni, per impedire che Bruxelles o Strasburgo si
trasformino in una succursale della torre di Babele? O forse abbiamo
abituato troppo bene l'Europa, con italiani che in quelle sedi si esprimono
in perfetto francese, come la Bonino, o che, come Buttiglione, si lanciano
in disquisizioni sulla morale kantiana in un invidiabile tedesco? Non so.
Di fatto siamo di fronte alla traduzione, stavolta in forma concreta, delle
barzellette che ci raccontavamo da piccoli, dove c'erano sempre quattro
protagonisti: "Ci sono un inglese, un francese e un tedesco ...". Da ultimo
sbucava fuori, come un piccolo e bistrattato Calimero, l'italiano,
irrimediabilmente destinato alla brutta figura.
Immancabili e prevedibili i cori di protesta. Soprattutto di ministri che
reagiscono alla protervia europea alzando il tono della voce.
L'emarginazione sancita a Bruxelles è la variante europea di una morte che è
già stata decretata a casa nostra. La scuola, che annega nei metodi,
somministra test, organizza moduli, monitorizza le competenze, costruisce
griglie e colma i debiti, privilegia l'educazione stradale piuttosto che la
lettura di un sonetto di Petrarca. Gruppi di resistenza si intravedono nelle
università, dove liberi studenti, che Dio li benedica, organizzano corsi in
cui si legge e si commenta tutto Dante, dopo la sua sostanziale esclusione
dai programmi di studio.
Invece di inanellare sequele urlate di aggettivi, con tutte le varianti
sinonimiche di "inaccettabile", datevi da fare, cari ministri, perché
nessuno studente possa considerare Ariosto, Tasso e Leopardi come stranieri
che parlano un idioma incomprensibile. E che nessuno, di fronte a chi osasse
dire "sciacquare i panni in Arno", sia costretto a chiedere, con occhio
ebete: "Perché proprio nell'Arno?".
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