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Mina
"Arimortis, ferma il gioco!". Smettiamo di stupirci. Chiudiamo pure quelle
bocche spalancate per lo sbigottimento. È tutto normale. Ormai. Anche il
nuovo reality show che la tv britannica Channel 4 metterà in onda tra un
mese. La fonte d'ispirazione, si fa per dire, è il campo di prigionia
americano di Guantanamo. Rinchiusi in un magazzino di Londra, sette
volontari saranno sottoposti alle pratiche solite per i 600 detenuti reali,
e cioè a temperature ai limiti della sopportazione, a contatti fisici, a
interrogatori degradanti e alla privazione del sonno. E vedremo chi vincerà.
Auguri!
Siamo mitridatizzati. A furia di veleni, ogni volta più mortiferi, non ci fa
niente neppure un quintale di stricnina. Pretendono di prenderci con lo
stupore, ci incollano al video solleticando le nostre facoltà inferiori
attratte dalle orrendezze massmediali. Dallo schermo fuoriesce una manina
allettatrice, che ti offre violenza, tortura, morte, paura, come vasetti di
miele per orsi golosi. Noi spettatori, invitati al banchetto con lusinghe di
informazione libera e reale, ma sottoposti alla rappresentazione
dell'orrore, replicheremo con la meraviglia che incolla a chi ci telesfrutta.
Ci avevi detto, caro Aristotele, che la meraviglia è causa e
motore del pensiero, è origine della filosofia. E sulla tua scia, tutto
l'Occidente ha tenuto fermo l'assunto di Gregorio Nazianzeno, secondo cui
"solo lo stupore fa conoscere". Lo dicevi quando, forse, l'uomo era
ancora una cosa seria. Che sbagliava, che percorreva strade tortuosamente
deviate, ma che ancora cercava una possibilità per essere.
Ora, invece, la violenza, che in sé è cosa facilmente e intuitivamente
detestabile, ce la rappresentano in modo forzato. Magari ammantando la
sceneggiata con presunte nobili finalità, come quella di sensibilizzare
l'opinione pubblica sull'inaccettabilità della tortura. Come se ce ne fosse
bisogno.
Nella logica dell'apertura alla capacità di sorpresa, ci dicevi anche che
"in tutte le cose della natura c'è qualcosa di meraviglioso". Ce la mettiamo
tutta, caro Aristotele, per cercare di trovare anche una formichina del
meraviglioso che tu avrai certamente visto ai tuoi giorni. Mi piacerebbe
vederti per una settimanella qui da noi. A saltapicchiare insieme per i
canali tv, o a fare un giretto per le strade delle nostre città.
Meglio cantare la canzoncina, come dei veri deficienti. "Guantanamera,
guajira guantanamera". E credere che sia ancora possibile dire: "Yo soy un
hombre sincero".
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