Mina

246. Un primato italiano:

SE IL PESSIMISMO È OBBLIGATORIO
 

 

Mina


Nessuna meraviglia. Anzi, finalmente una buona notizia. Siamo i più pessimisti. Se ne parlava, l'altro giorno, all'apertura del World Economic Forum di Davos. Gli italiani, tra gli abitanti dei maggiori paesi, sembrano dominati da una generale sfiducia nelle prospettive economiche future. Perché, c'è qualcuno che non è d'accordo, che ha l'ardimento, la sconsideratezza di essere ottimista? Con le guerre, la droga e le altre delizie che avvelenano il mondo, c'è poco da stare allegri.

"Gianni, ma come si fa a non essere pessimisti!? Il pessimismo è il profumo della vita". Dovrebbe suonare così quella tale pubblicità per non essere, come dire, illusoria. Siamo i più disincantati e questo mi fa piacere. Ci voleva l'ennesimo sondaggio, del quale non sentivamo la mancanza, per averne conferma.

Sarà solo una considerazione di tipo economico a renderci cupi? O sarà altro? Non so. Ovvero, spero di sì. Comunque vale la pena di calarsi in questa specie di salutare strip-tease della ragione, come forma per ascendere al presunto vero. Lasciandosi, magari, accompagnare da una schiera di intelletti. Da Qohelet a Dostoevskij, da Lucrezio a Schopenhauer, da Leopardi a Cioran.

Non è questione di abbandonarsi a quel pessimismo psicologico, magari legato a vicende personali frustanti, che a volte sfocia nella depressione. Il vero pessimismo non ha che fare con l'esistenza, ma con l'essere. Non è sentimento passeggero, ma frutto di raziocinante consapevolezza. In un'ininterrotta iterazione della domanda, nell'articolarsi doloroso del dubbio, fa emergere tutte le ambiguità di un'esistenza finita, non presidiata né salvaguardata dall'infinito del desiderio. Smaschera i teoremi dell'ovvio con la critica, il sospetto, l'ironia. La vita, soprattutto quella rappresentata da un circo mediatico garrulo quanto mai, fa scandalo nella sua strutturale inconsistenza. Tanto vale comprenderla attraverso una visione eccentrica, dalla parte della luce crepuscolare, della follia, della vecchiaia, della morte, quanta!, che è nella vita.

E allora gli occhi si disincantano per poter guardare alla pulsazione irrazionale del mondo, ad una società riconducibile alla sintesi di Qohelet: "vanità delle vanità, tutto è vanità". Ed essere come lui, lo scettico, il testimone disincantato della fine di ogni logica, della crisi di ogni valore. E nella denuncia della vacuità dei luoghi comuni, sovvertire i canoni di un mondo piegato all'inebetimento e alla massificazione. Prediligere l'assenza, sedersi a considerare il vuoto, per alimentare la nostalgia del pieno.

La miseria del secolo è inesorabilmente profonda, al punto che la stragrande parte degli uomini nemmeno se ne rende conto. E la vera malattia non è la malattia, ma lo sguardo ottuso di chi è incapace di coglierne i sintomi.
Allegri oggi, vero? Con gli uominini che girano ...
 

 

Secondo me: «246. Un primato italiano: SE IL PESSIMISMO È OBBLIGATORIO» - di Mina, La Stampa, Sabato 29 Gennaio 2005
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