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Mina
Nessuna meraviglia. Anzi,
finalmente una buona notizia. Siamo i più pessimisti. Se ne parlava, l'altro
giorno, all'apertura del World Economic Forum di Davos. Gli italiani, tra
gli abitanti dei maggiori paesi, sembrano dominati da una generale sfiducia
nelle prospettive economiche future. Perché, c'è qualcuno che non è
d'accordo, che ha l'ardimento, la sconsideratezza di essere ottimista? Con
le guerre, la droga e le altre delizie che avvelenano il mondo, c'è poco da
stare allegri.
"Gianni, ma come si fa a non essere pessimisti!? Il pessimismo è il profumo
della vita". Dovrebbe suonare così quella tale pubblicità per non essere,
come dire, illusoria. Siamo i più disincantati e questo mi fa piacere. Ci
voleva l'ennesimo sondaggio, del quale non sentivamo la mancanza, per averne
conferma.
Sarà solo una considerazione di tipo economico a renderci cupi? O sarà
altro? Non so. Ovvero, spero di sì. Comunque vale la pena di calarsi in
questa specie di salutare strip-tease della ragione, come forma per
ascendere al presunto vero. Lasciandosi, magari, accompagnare da una schiera
di intelletti. Da Qohelet a Dostoevskij, da Lucrezio a Schopenhauer, da
Leopardi a Cioran.
Non è questione di abbandonarsi a quel pessimismo psicologico, magari legato
a vicende personali frustanti, che a volte sfocia nella depressione. Il vero
pessimismo non ha che fare con l'esistenza, ma con l'essere. Non è
sentimento passeggero, ma frutto di raziocinante consapevolezza. In
un'ininterrotta iterazione della domanda, nell'articolarsi doloroso del
dubbio, fa emergere tutte le ambiguità di un'esistenza finita, non
presidiata né salvaguardata dall'infinito del desiderio. Smaschera i teoremi
dell'ovvio con la critica, il sospetto, l'ironia. La vita, soprattutto
quella rappresentata da un circo mediatico garrulo quanto mai, fa scandalo
nella sua strutturale inconsistenza. Tanto vale comprenderla attraverso una
visione eccentrica, dalla parte della luce crepuscolare, della follia, della
vecchiaia, della morte, quanta!, che è nella vita.
E allora gli occhi si disincantano per poter guardare alla pulsazione
irrazionale del mondo, ad una società riconducibile alla sintesi di Qohelet:
"vanità delle vanità, tutto è vanità". Ed essere come lui, lo scettico, il
testimone disincantato della fine di ogni logica, della crisi di ogni
valore. E nella denuncia della vacuità dei luoghi comuni, sovvertire i
canoni di un mondo piegato all'inebetimento e alla massificazione.
Prediligere l'assenza, sedersi a considerare il vuoto, per alimentare la
nostalgia del pieno.
La miseria del secolo è inesorabilmente profonda, al punto che la stragrande
parte degli uomini nemmeno se ne rende conto. E la vera malattia non è la
malattia, ma lo sguardo ottuso di chi è incapace di coglierne i sintomi.
Allegri oggi, vero? Con gli uominini che girano ...
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