Mina

245. Scuola e tradizioni:

IL DIALETTO È L'ANTIDOTO AI PACIUGHI LINGUISTICI
 

 

Mina


Due amori. Che cerco di conoscere meglio, ancora adesso che i verbi sono prevalentemente all'imperfetto. Adesso che alcuni vocaboli cominciano ad essere sconosciuti: "Come hai detto? Che cosa vuol dire?". Il grande amore: l'italiano e il piccolo amore: il dialetto. Che fanno parte di me come i miei capelli, come il mio piloro. Che mi tengo stretta. Che mi scaldano il cuore e i pensieri.

L'italiano è la perfezione complessa come la psicanalisi, scrigno di tesori come le eccezioni e le figure retoriche. Il dialetto è la verità, la storia di ognuno, innegabile culla, magazzino di individui. L'italiano è la sciolina indovinata per passare la vita sullo stivale patrio. Il dialetto è la coscienza terrosa di qualsiasi pezzo di mondo e solo di quello. Con l'italiano entri in rapporto formale con gli altri, attraverso la lingua della mente. Con il dialetto sbugiardi gli imbroglioni e riconosci i sinceri.

Probabilmente non basterà l'infarinatura impartita da chissà quali docenti e auspicata dalla Moratti nei nuovi obiettivi d'apprendimento dei licei classici. Ci vorrà un'università ampia per insegnarlo ed impararlo.

Accozzaglie di vocali definite da accenti e da segni diacritici, come una battaglia di soldatini. Fremiti consonantici divisi tra il vento e il porcile. Avrei preferito che la trasmissione della lingua fosse un fenomeno biologico perché non si perdesse nessuna scheggia di patrimonio. Ma mutazioni fonatorie e esigenze coagulative hanno semplificato e svilito le preziose disuguaglianze. Recentemente De Crescenzo raccontava di una vecchia foto di suo padre, soldato nella Grande Guerra, con la scritta "interprete" sul braccio. Interprete fra un tenente veneto e un sergente siciliano. Poi il Ventennio ha sguinzagliato per l'Italia maestrine dalla penna rossa che segnavano ogni parola dal vago sapore dialettale.

L'italiano, che non è nato e non si è affermato come lingua orale, non l'abbiamo appreso per mezzo della musicalità, ma attraverso i significati. Una precisa parola per indicare una determinata cosa. La mente eseguiva, ma dentro continuavamo a parlare in dialetto. Con tutta la ricchezza dell'emozionalità, del movimento, della passione per il particolare e per i punti esclamativi.

Se la lingua è appartenenza, ben venga questo estremo tentativo di risurrezione del dialetto. Come antidoto al paciugo linguistico che non è più italiano e non è ancora inglese, come nutrimento per le anime refrattarie all'inebetimento dell'orribile linguaggio medio televisivo, infarcito di luoghi comuni, che soffoca e stramazza quel corpo inerte che è l'Italia.
E perché, per non rinunciare alle altezze del migliore italiano, superbo, amaro e zuccherino, nobile e pugnace, non accostare finalmente i liceali al genio di quel Gadda che mescolava i linguaggi, per dire la realtà esattamente come deve essere? Ne guadagnerebbero il cuore e la mente.

 

 

Secondo me: «245. Scuola e tradizioni: IL DIALETTO È L'ANTIDOTO AI PACIUGHI LINGUISTICI» - di Mina, La Stampa, Sabato 22 Gennaio 2005
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