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Mina
La lobby dell'allarmismo parascientifico non dorme mai. I sedicenti esperti,
con l'incomparabile, implacabile ausilio di istituti di ricerca e
sondaggisti, scarnificano ogni dettaglio dell'esistenza. Selezionano un
campione di non più di un migliaio di soggetti e, a scadenze sempre più
asfissianti, ci deliziano di informazioni fondamentali. Quante sigarette
fumiamo e in quali ore del giorno, in che rapporto sta l'essere single con
l'aspettativa di vita, siamo felici o depressi, quanto usiamo il cellulare,
quanti messaggini mandiamo, quanti infarti in relazione a quanta e quale
attività fisica.
Non vanno mai in ferie. Nemmeno d'estate si prendono un attimo di pausa. E,
in mancanza di meglio, sguinzagliano gli intervistatori sui lidi italici per
sapere da 200 bagnini quali siano gli oggetti che i "vacanzieri" smarriscono
di più in spiaggia. Fondamentale.
Stampa e televisione, sempre più sottomessi alla mania sondaggistica, ci
rilanciano le percentuali in tempo reale. E non s'accorgono che a distanza
di poche settimane ci raccontano cifre contraddittorie e conclusioni
opposte. Per esempio, l'ultimo numero di "Riza Psicosomatica" rende noto che
il suo pool di psicologi ha stabilito che gli italiani maschi dedicano 52
minuti al giorno a parlare di calcio, le donne ne spendono 50 per
chiacchierare di shopping. E, globalmente parlando, 35 minuti sono destinati
al pettegolezzo.
Ma un mese e mezzo fa i giornali lanciavano uno studio di "Eta Meta Research"
che rivelava che i minuti gossipari erano la bellezza di 300, con l'aggiunta
che ben l'83 % dei maschi è gossipivoro, ma che le donne sono gossipanti più
crudeli.
E dopo questo bel quadretto a base di cifre ballerine, che cosa dovremmo
pensare? Anche niente, direte voi.
L'ultimo allarme che ci arriva dall'Istituto di Neuroscienze di Firenze
riguarda la perdita della memoria. E le agenzie rilanciano: "gli italiani
rischiano di diventare un popolo di smemorati". Ci affidiamo ai mezzi
tecnologici, usiamo prevalentemente la memoria di breve durata. E, clamorosa
novità, ci viene detto che "il carburante per la nostra memoria è
l'affetto", come se non fosse già evidente che dentro il verbo "ricordare"
c'è la radice etimologica del "cuore".
La statistica pretende di contarci e di schedarci nei nostri gusti,
pensieri, desiderî. Ma questa ghettizzazione nei numeri e nelle percentuali,
che altro è se non una violenza alla persona, dal momento che il fondo reale
dell'uomo e il suo mistero non vengono neppure minimamente sfiorati? E quel
che è più pericoloso è che i risultati di queste schedature risultano essere
il modello stesso della vita e dei comportamenti a cui tutti si dovrebbero
adeguare, per poter essere considerati nella norma. Traducendo in termini
più semplici, mi sembra di sentire un coro che viene da lontano: "Parla per
te, io sono altra cosa".
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