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Mina
L’ultimo parto della fantasia ad occhi a mandorla è una sottospecie di
romanzo che sta sbancando le classifiche di vendita del Sol Levante.
Tutto comincia nel marzo scorso, quando un ragazzo giapponese confessa in un
sito Internet di chat e messaggi di essersi innamorato di una ragazza seduta
al suo fianco, una sera in treno, e da lui protetta da un ubriaco. Lei, come
segno di gratitudine, gli manda un set di tazze da tè. E lui comincia a
agitarsi nel dubbio se contattarla o no. “Vorrei invitarla a uscire con me,
ma non so come fare. Sono un autorecluso in casa, senza esperienze di
ragazze. Aiutatemi”. Come un message in a bottle e affidato alle onde della
rete, il suo Sos scatena una valanga di messaggi. Mentre anonimi internauti
dispensano consigli, il protagonista ci aggiorna sugli sviluppi della sua
love story. E le 364 pagine di questa moderna forma di epistolografia si
trasformano in un romanzo che, in meno di un mese, vende 415.000 copie.
Dalle nostre parti, ammesso che esista ancora l’Occidente, ci eravamo
fermati a Paolo di Tarso, a Seneca, all’Eloisa di Rousseau, al Werther di
Goethe, alle “Liaisons dangereuses” di Laclos, all’Ortis di Foscolo, alla
“Lettera al padre” di Kafka. Anche se poi, a ben guardare, pure da noi diari
pseudoamorosi, penosamente scritti da adolescenti in vena di confessioni,
hanno avuto il loro immeritato successo.
Sempre da noi, c’era una volta il confessionale. Quello con la grata, quello
dove si riversavano pensieri e azioni altrove inconfessabili. Ora ci sono
altre forme di comunicazione, anonime e virtuali, dove regna il coraggio
perduto. Se non ti vedo, ti posso dire, forse, la verità. Se non ti vedo,
sei un altro me stesso su cui rovesciare le mie grane.
Da una parte la paura di guardarsi dentro in silenzio e privatamente
giudicarsi. Dall’altra, lo sgomento di ricevere uno sguardo, benevolo o
accusatorio che sia, da mettere in relazione ad una parola detta o ad un
gesto compiuto.
Forse è finito il coraggio di guardare negli occhi un uomo che prova
disperazione e doverlo aiutare con le mani, con parole, con lacrime di
compassione e partecipazione. Si preferisce intuire gioia e dolore nel mondo
del messaggio mediato da un display, che non può rivelare il rosso della
vergogna, l’impallidire improvviso dello smascherato, la lacrima vera della
commozione, lo sbadiglio dell’annoiato o l’imbarazzo dell’intimidito. La
comunicazione informatica è l’ultima trovata per la fabbricazione
dell’ambiguità, mentre la costruzione di un amore è un lavoro di precisione
che necessita di tesi e antitesi assolutamente palesi.
Non si può vivere fuori dalla realtà. Il dolore, come l’amore, ha
odore, sapore, rumore, consistenza. Ma, per carità, anche questo è un modo.
Un modo da rispettare, come tutto quello che non condividiamo o che è
diverso da noi.
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