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Mina
Ma non eravamo un popolo di poeti, santi e navigatori? Insomma, di artisti,
nell’accezione più ampia, generosa e prodigiosa che la parola consente? Un
mesto studio dell’Istituto Superiore di Sanità ci dice la verità. Stavolta
sugli adolescenti che coprono quel tortuoso percorso di anni che va dai 14
ai 19. I nostri figli vengono dipinti come precoci borghesucci, tutti casa,
famiglia e lavoro, ben lontani dallo stereotipo “sesso, rock and roll,
denaro, visibilità”.
Ma sarà proprio la verità? Boh. Vi risparmio i dettagli e le percentuali, e
qualcuno poi mi spiegherà che cosa c’entri un istituto di sanità con gli
stili di vita e i valori adolescenziali.
Eppure questi ragazzi sono gli stessi che, con una fantasia formidabile,
coniano neologismi del tipo “sbanfa, pezzìo, ròito, tranzollo, ammanna,
spagnarsela, babbazzo, robboso, sverdare, sottone” (se vi interessa la
traduzione, chiedete a vostro nipote, a patto che abbia meno di 17 anni), al
punto che una prestigiosa casa editrice sente l’esigenza di pubblicare un
“Dizionario storico dei linguaggi giovanili”, dal titolo “Scrostati gaggio!”,
e cioè “Vattene, idiota!”.
Ad ondate cicliche torna sulle pagine dei giornali il dibattito su quella
fascia d’età sconosciuta ai più, o meglio, ignota soprattutto a chi si
occupa solo di politicume. Una circolare sui jeans a vita bassa o un liceo
allagato dai figli della buona borghesia sono più che sufficienti per
scatenare il baccanale delle analisi. Che si trasformano in luoghi comuni
dozzinali, sguaiati e colpevoli. Sì, colpevoli, perché si limitano a
incasellare gli adolescenti dentro tipizzazioni riduttive senza dare alcuna
risposta al bisogno di senso che emerge dall’agire dei giovani.
Ma non ci sono che individui. L’uomo, non la categoria. Il ragazzo, non il
gruppo. Sempre. Non la razza, non la truppa. L’uomo, il singolo uomo, è il
fine.
Ecco, magari invece di cedere al gusto delle etichette, sarebbe il caso di
suggerire qualcosa, sarebbe il caso di esporsi, piuttosto che stare alla
finestra di un’età che non è mai troppo avanzata per lavarsene le mani. A
furia di esercitarsi nella mania di generalizzare, non vorrei che si finisse
per considerare i giovani come una categoria che necessita di interventi
assistenziali o soggetti da gabinetto del dottor Mabuse.
Il distaccato disprezzo, anche se ironico e intelligente, non è mai
costruttivo. Dovremmo invece guardare negli occhi dei ragazzi e accorgerci
delle speranze, dei sogni, delle grandi e piccole idealità. Altro che
giovani rassegnati! Guardiamoli negli occhi, e ce ne sono di bellissimi,
pieni di limpidezza, pieni di domande che vogliono risposte grandi, proposte
forti. E le risposte devono essere date immediatamente e devono essere
autentiche e totali.
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