Mina

234. L’apparecchio antitv:

 SE LA TECNOLOGIA SPEGNE LA RAGIONE
 

 

Mina


Aveva messo a punto un marchingegno che spegneva i televisori. Era un affarino piccolo piccolo che lui teneva in tasca mentre, verso le nove di sera, passava davanti ai bar della sua città. Se li faceva tutti, uno a uno. Superava il posto di ritrovo a piccolo passo, finché non si sentiva chiamare dal proprietario: “Piero, Piero, meno male che sei da queste parti. Il televisore non va più e ho un sacco di gente furiosa perché c’è la partita”.

Questo succedeva tanti, tanti anni fa, e questo mio amico, che poi è diventato un mio prezioso, serissimo collaboratore, allora era poco più che un ragazzo geniale che in quel modo sbarcava il lunario.

Ci sono voluti più di trent’anni perché qualche altro burlone mettesse in pratica la sua stessa idea, il suo stesso congegno.

Proprio la stessa cosa. Un aggeggio dall’aspetto innocuo di un portachiavi, ma che in realtà racchiude un chip capace di oscurare mille diversi modelli di televisori. Il sito che lo vende a 15 dollari avvisa che, a causa dell’alto numero di visitatori, il servizio on-line è momentaneamente interrotto.

Ma, secondo voi, di che cosa si tratta? Di un dispetto, di uno scherzo o di un suggerimento? Il suo inventore, Mitch Altman, non fa mistero delle sue intenzioni. Grazie al marchingegno assassino e liberatorio, vagheggia “un mondo in cui la nostra coscienza non sia costantemente invasa dal flusso televisivo”. Nobili intenzioni, senz’altro. Ma con il piccolo inconveniente che trattasi di un’ingerenza al contrario. Con lo scopo di liberare dall’invasione della telecrazia, l’aggeggio si sostituisce alla libertà di scelta. Impone il silenzio, annulla le immagini, all’insaputa dell’utente. Il quale, immaginiamo, di fronte allo spegnersi inatteso del suo televisore, si lascerà andare a pugni sull’apparecchio, accompagnati da bordate di parolacce.

La tecnologia, volenti o nolenti, è sempre stata fautrice di nuove opportunità, che però si sono spesso tradotte in forme di dipendenza indotta. Se ora si sente il bisogno di usare armi tecnologiche per liberarci dall’invasione del mezzo catodico che se ne sta appollaiato sul cocuzzolo delle nostre vite, dei nostri pensieri e delle nostre coscienze, c’è di che preoccuparsi. È il segno che la libertà umana non esiste più, al punto che solo un aggeggio, e non la coscienza personale, può preservarci dalla schiavitù mediatica? Quando brandiamo un telecomando, ci trasformiamo in un animalone tecnologico, un tutt’uno con l’apparecchio televisivo. E il nostro saltapicchiare da un canale all’altro non è più mosso dall’intelligenza, ma dalla soddisfazione delle nostre facoltà inferiori, rassegnate, inconsapevoli e attratte dalle orrendezze massmediali.

Se sarà un “telespengo” a salvarci da un “telecomando”, dichiariamo bancarotta. La bancarotta della ragione che sa scegliere.
 

 

Secondo me: «234. L’apparecchio antitv: SE LA TECNOLOGIA SPEGNE LA RAGIONE» - di Mina, La Stampa, Sabato 23 ottobre 2004
http://www.minamazzini.com/

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