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Mina
"Quando la radio trasmette da Torino, vuol dir: stasera ti aspetto al
Valentino. Ma se ad un tratto si cambia di programma, questo vuol dire:
attento, c'è la mamma".
Strano, ho come la nostalgia di qualcosa che non ho vissuto. Cioè, c'ero, ma
ero troppo piccola per ricordare quello che adesso sembra mancarmi. Ricordo
il colore e il profumo dei capelli di mia madre che mi teneva in braccio e
cantava con la sua voce incantevole, piena e morbida, una voce che fa
sembrare la mia quella di una gallina deficiente, cantava: "Marialao,
lasciati baciar. Marialao, io ti voglio amar ...", cantava insieme a
Rabagliati che trasmetteva in diretta alla radio. Sembrava che quella
musichina, quelle parole, così fuori moda già allora, alleggerissero la
vita.
Lei, la radio, proprio la radio in corpore, era un mobilone di radica di
noce bionda con inserti di bacchette orizzontali, leggermente più scure, che
coprivano una specie di teletta marrone. Aveva grosse manopole di avorio e
una ribalta che, se alzata, rivelava il giradischi.
Allora non potevo immaginare che ci sarei finita dentro. E che qualcuno,
vicino ad un mobiletto un po' più moderno, avrebbe cantato con me, di
nascosto, come mia mamma con Rabagliati. Anzi, adesso che ci penso, qualcuno
deve aver cantato con me anche in macchina e forse anche con gli auricolari
facendo jogging.
In un mondo che ha ormai celebrato le esequie del verbo "ascoltare", rimane
solo la schiavitù dello sguardo. In un mondo così la radio è l'ultima
riserva indiana, come un'oasi naturalistica, dove tra le sterpaglie e i
rovi, trovi ancora di tutto, dalla letteratura al gossip, da Cole Porter a
Puccini, dalla politica a qualche specie musicale in via d'estinzione. Dove,
per fortuna, restano vere le parole che Baglioni cantava: "Da una radiolina
accesa arrivano le note di un'orchestra jazz". Dove è ancora possibile
trovare parole offerte all'ascoltatore con quel garbo che la tv ha in
orrore. Meno male.
By the way, vi ricordate cosa scriveva Gadda nel 1953, quando la Rai gli
chiese di fissare le "Norme per la redazione di un testo radiofonico?"
Il pubblico che ascolta la radio è un pubblico per modo di dire. In realtà
si tratta di "persone singole" ... Ogni ascoltatore è solo .... Seduto solo
nella propria poltrona, dopo aver inscritto in bilancio ... la nobile fatica
dell'ascolto, egli dispone di tutta la sua segreta suscettibilità per
potersi irritare del tono inopportuno onde l'apparecchio radio lo
catechizza. È bene perciò che la voce, e quindi il testo affidatole, si
astenga da tutti quei modi che abbiano a suscitare l'idea di una allocuzione
compiaciuta, di un insegnamento impartito, di una predica, di un messaggio
dall'alto. L'eguale deve parlare all'eguale, il libero cittadino al libero
cittadino, il cervello opinante al cervello opinante".
Bello. Ma essendo leggermente stufina delle commemorazioni fatte come se le
onde radio e i loro derivati arredamentali fossero non più moderni di
Marconi, dico semplicemente: viva la radio tout court. E basta.
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