Mina

232. Il garbo che manca in tv:

 EVVIVA LA RADIO ULTIMA RISERVA INDIANA
 

 

Mina


"Quando la radio trasmette da Torino, vuol dir: stasera ti aspetto al Valentino. Ma se ad un tratto si cambia di programma, questo vuol dire: attento, c'è la mamma".

Strano, ho come la nostalgia di qualcosa che non ho vissuto. Cioè, c'ero, ma ero troppo piccola per ricordare quello che adesso sembra mancarmi. Ricordo il colore e il profumo dei capelli di mia madre che mi teneva in braccio e cantava con la sua voce incantevole, piena e morbida, una voce che fa sembrare la mia quella di una gallina deficiente, cantava: "Marialao, lasciati baciar. Marialao, io ti voglio amar ...", cantava insieme a Rabagliati che trasmetteva in diretta alla radio. Sembrava che quella musichina, quelle parole, così fuori moda già allora, alleggerissero la vita.

Lei, la radio, proprio la radio in corpore, era un mobilone di radica di noce bionda con inserti di bacchette orizzontali, leggermente più scure, che coprivano una specie di teletta marrone. Aveva grosse manopole di avorio e una ribalta che, se alzata, rivelava il giradischi.

Allora non potevo immaginare che ci sarei finita dentro. E che qualcuno, vicino ad un mobiletto un po' più moderno, avrebbe cantato con me, di nascosto, come mia mamma con Rabagliati. Anzi, adesso che ci penso, qualcuno deve aver cantato con me anche in macchina e forse anche con gli auricolari facendo jogging.

In un mondo che ha ormai celebrato le esequie del verbo "ascoltare", rimane solo la schiavitù dello sguardo. In un mondo così la radio è l'ultima riserva indiana, come un'oasi naturalistica, dove tra le sterpaglie e i rovi, trovi ancora di tutto, dalla letteratura al gossip, da Cole Porter a Puccini, dalla politica a qualche specie musicale in via d'estinzione. Dove, per fortuna, restano vere le parole che Baglioni cantava: "Da una radiolina accesa arrivano le note di un'orchestra jazz". Dove è ancora possibile trovare parole offerte all'ascoltatore con quel garbo che la tv ha in orrore. Meno male.

By the way, vi ricordate cosa scriveva Gadda nel 1953, quando la Rai gli chiese di fissare le "Norme per la redazione di un testo radiofonico?"  Il pubblico che ascolta la radio è un pubblico per modo di dire. In realtà si tratta di "persone singole" ... Ogni ascoltatore è solo .... Seduto solo nella propria poltrona, dopo aver inscritto in bilancio ... la nobile fatica dell'ascolto, egli dispone di tutta la sua segreta suscettibilità per potersi irritare del tono inopportuno onde l'apparecchio radio lo catechizza. È bene perciò che la voce, e quindi il testo affidatole, si astenga da tutti quei modi che abbiano a suscitare l'idea di una allocuzione compiaciuta, di un insegnamento impartito, di una predica, di un messaggio dall'alto. L'eguale deve parlare all'eguale, il libero cittadino al libero cittadino, il cervello opinante al cervello opinante".

Bello. Ma essendo leggermente stufina delle commemorazioni fatte come se le onde radio e i loro derivati arredamentali fossero non più moderni di Marconi, dico semplicemente: viva la radio tout court. E basta.
 

 

Secondo me: «232. Il garbo che manca in tv: EVVIVA LA RADIO ULTIMA RISERVA INDIANA» - di Mina, La Stampa, Sabato 9 ottobre 2004
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