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Mina
"Aiutami perché proprio non riesco a leggere questa parte della lettera.
Santo Dio, che grafia spaventosa ha il mio amore. Eppure non è un medico."
Con cadenza settimanale, Veronica, una mia giovane amica, mi porta il
pacchettino di corrispondenza che le manda il suo ragazzo che si trova in
America per lavoro. E con la santa pazienza cerchiamo di decifrare quella
forestina di segnacci affettuosamente incomprensibili. Certo che almeno le
lettere d'amore uno dovrebbe renderle intelligibili a prima vista.
Altrimenti si perde il montare dell'emozione, rotta dalla perdita di tempo,
con conseguente giramento di scatole, per interpretare una frase che sembra
scritta in sanscrito. Comunque, meno male che il ragazzo di Veronica
preferisce scrivere ancora con la sua bella penna stilografica sul suo bel
foglio di carta bianca. Mmmh, mi viene l'acquolina in bocca, mentre sono
costretta a usare questo computer con il quale faccio indegnamente questo
lavoro che, peraltro, mi piace moltissimo.
Ebbene sì, non sappiamo più scrivere. E non si tratta solo di incapacità di
usare al meglio la lingua più bella che si parli sulla faccia della terra.
Qui mancano i fondamentali, i preliminari, le capacità di base. Non sappiamo
più tracciare la gambetta della pi o il trattino della ti come Dio comanda,
o come, assai probabilmente, ci hanno insegnato le nostre adorabili maestre
in prima elementare.
Inutile scagliarsi contro la prepotenza dell'informatica o della
videoscrittura. Chi si è ormai abituato a scrivere con la tastiera alla
lunga assorbe la precisione della disposizione formale della pagina che
appare sul video. Altre le cause, altre le responsabilità. Ad esempio,
quella della libertà espressiva, secondo la quale imporre una forma precisa
costituirebbe un attentato al diritto all'istintività personale. E su questa
china si collocano pure gli sghiribizzi che imbrattano i muri di tutte le
nostre città e che qualcuno si ostina ancora a difendere come "libere
espressioni di cultura giovanile".
Ma c'è qualcosa di più radicale. Se lo scrivere è un modo per comunicare, la
comprensibilità della forma è segno di rispetto, di volontà di entrare in
rapporto con l'interlocutore o il lettore, per metterlo in condizione di
comprendere al meglio. Al contrario, la sciatteria o la trascuratezza della
scrittura, al limite della sua riduzione a una selva di ideogrammi, indica
che non ci interessa raggiungere l'altro. Riversiamo segnacci su un foglio,
così come, nei dia-monologhi, subissiamo i nostri presunti interlocutori di
parole che sono espressione di un solipsismo narcisistico. Non esiste più il
"tu" e nemmeno il modo del rapporto. Invece della bellezza del porgere
all'altro qualcosa che arrivi da noi e che valga la pena di essere offerto
nella sua forma migliore, scagliamo, urliamo. Sobrietà, anzi, silenzio, per
favore.
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