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di Mina
È tempo di vigilia. Una
Europeetta fragile e divisa affida il compito del trionfale tentativo di
tenere a bada la prima Olimpiade dopo la tragedia delle Twin Towers giusto
alla Grecia, che detiene il privilegio della paternità antica e moderna di
una manifestazione mai quieta.
Qualcuno si chiede se sia giusto che proprio ad un sistema di missili
Patriot debba essere affidata la protezione del clamore per un record.
Tremolante per il caldo e per la lontananza del teleobbiettivo, l'immagine
di una macchina da guerra difensiva, quasi mimetizzata su una collina
senz'alberi né reliquie, ruba la scena ad uno stadio nuovo in cui ragazzi di
tutti i colori dovrebbero gareggiare lealmente, dimostrando che è il
migliore a vincere. Non il furbo, non il cattivo, non l'eletto, ma soltanto
il migliore.
Daremo, come sempre, ad un gesto atletico, ad un modo di vivere una gara,
alla strana combinazione di nazionalità dei contendenti in qualche sport
minore il significato di un simbolo. Fratellanza, amore globale, assenza di
barriere. Ma saremo felicissimi se soltanto non ci sarà toccato pronunciare
parole come terrore, guerra, fondamentalismo, ingiustizia. Almeno qui. Non
ci illudiamo che si ripeta la solenne ritualità antica, che prevedeva che
per tutta la durata dei giochi di Olimpia tacesse ogni conflitto greco. E
nemmeno pretendiamo che la cerimonia d'apertura stenda un velo che nasconda
il tormento del mondo intero. Che uno straccio, un simulacro di pace tiri
avanti per queste due settimane. Almeno ad Atene. Ci accontentiamo di poco.
Non vedremo Nivasio Dolcemare pervaso di mitologia, assetato per il caldo
del sole sui sassi bianchi, aggirarsi tra gli spettatori in cerca di un
maratoneta da ricordare. Vedremo moderni infatuati tifosi con facce che
speriamo assorte nella solita rabbia per un medagliere che non si riempie e
non intimidite da un fracasso inaspettato.
Eppure lo spettacolo deve cominciare. Per interrompere il mulinello delle
frustrazioni, per sciogliere via la ruggine che costringe gli ingranaggi del
nostro provatissimo cervello, per trasportarci in una limbica aura di gioco
che, in fondo, è l'occupazione preferita dall'uomo. E dalla donna, perché
no? Ci sono amiche e amici che stanno preparando i registri per dare i voti.
Non certo al "profitto" ma, candidamente, alla bellezza degli atleti.
Telefonate divertite e lapidarie ti avvertono di "mettere subito" sul tale
canale perché ci sono i decatleti. "Ah, i decatleti! Sono sicuramente i più
belli". Ma sì, perché non dar spazio anche a istinti sanamente rustici,
piuttosto che piegarsi all'astrazione crudele dell'analisi tecnica?
E allora che lo spettacolo inizi. Perché, forse, è molto meno spettacolo di
quel che pensiamo. E molto più vita di quel che ci meritiamo.
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