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di Mina
Avremmo dovuto cominciare prima. Quando il campionario era completo. Ma
allora eravamo impegnati in altre faccende e, invece di contemplare gli
animali che scorrazzavano liberi nell'Eden, ci perdevamo dietro una certa
mela, origine, pare, di tutti i nostri guai.
Poi, qualche specie cominciò a perdersi già durante le veloci operazioni di
imbarco sull'arca. Non deve essere stato semplice per Noè controllare che
tutte le coppie di animali si stipassero al meglio nel barcone che doveva
sfidare il diluvio. Gli "scienziati", poco dopo, si mettevano a studiare il
mistero del calore del sole, dei capelli che incanutiscono, il miracolo del
fuoco, dei tuoni, della pioggia, i segreti delle stelle che si espandono
nello spazio ed altre cosette di prima urgenza. Ci sono voluti milioni di
anni per arrivare ad occuparsi di nuovo degli animali a rischio di
estinzione e per immaginare qualche concreto metodo per evitare di perdere
per sempre l'orice dalle corna a scimitarra del Nord Africa o il cavalluccio
marino giallo.
Ci hanno pensato, col progetto "Arca congelata", all'Università di
Nottingham, dove si raccoglieranno i campioni di Dna e di tessuti
crioconservati di migliaia di specie animali a rischio di estinzione. I
posteri avranno quindi a disposizione una banca genetica e, se vorranno,
potranno usare il Dna per clonare gli animali che, nel frattempo, saranno
scomparsi.
Gli scienziati inglesi, preoccupati come Noè, ci dicono che nei prossimi 30
anni dovrebbero estinguersi 1130 specie di mammiferi (un quarto del totale)
e 1183 specie di uccelli (un ottavo di tutti volatili). Certo, qualche
materialista potrà consolarsi pensando che esistono ancora 140.000 specie di
farfalle. E qualche pragmatico umanista potrà anche consigliarci che sarebbe
meglio pensare alla sopravvivenza dell'uomo, piuttosto che alle 20.000
diverse qualità di orchidee, di cui non sappiamo che fare.
Ma se è vero che tutta la realtà, anche quella naturale, esige rispetto,
resta aperta una questione: quale sarà l'habitat che gli animali risuscitati
troveranno fra migliaia di anni? La tigre della Tasmania o i serpenti della
Polinesia, sopravvissuti grazie alla tecnica, rischieranno di ritrovarsi
soli e sperduti in una specie di Jurassic Park e, in ogni caso, in un mondo
che non riconosceranno più come loro. Il che porterebbe a ritenere che la
strada da percorrere sia un'altra: conservare l'ambiente, prima ancora delle
specie che lo abitano. E un simile approccio al problema avrebbe anche il
vantaggio di contribuire alla qualità della vita dell'uomo.
"Ci sono più cose in cielo e in terra di quante ne contempli la tua
filosofia", diceva Amleto a Orazio. Ci sono più specie viventi, in
natura, di quante riusciamo a classificarne. Che la natura faccia il suo
corso. E se anche perdiamo le tracce della formica del Borneo, del mandrillo
di Bula Bula o del vermetto di Abbiategrasso, pazienza.
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