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di Mina
La ritualità mediatica
di fine giugno ripropone già i suoi cliché. Non è più necessario sorbettarsi
i settimanali femminili. Anche i telegiornali di prima serata si sentono in
dovere di consigliarci, con l'ausilio degli immancabili "esperti", su quali
verdure indirizzare l'esigenza, o meglio l'obbligo imposto, di apparire il
più abbronzati possibile. Poi, nel balletto stucchevole dell'informazione
che ondeggia tra ditini monitori e allarmismi, domani ci diranno, in un
raptus di ovvia amenità, che tra melanina e melanoma c'è qualche
preoccupante relazione. E a fine agosto l'ennesimo esperto ci dispenserà
ricettine fai-da-te per conservare qualche brandello di ustione epidermica
da mostrare ai colleghi di lavoro al rientro dopo le ferie. Alla nostra
fantasia resterà solo il compito di dimostrare "coram populo" che la
tintarellica coloritura ha preso forma sotto i raggi nobili di un'isoletta
greca o di Porto Cervo, e non tra gli effluvi nazional-popolari di
Cesenatico.
Poi c'è l'altra metà del mondo: quella che colorata lo è già. Anche troppo.
E che vorrebbe schiarirsi la pelle, anche ricorrendo a metodi pericolosi.
Qualche giorno fa, nel porto di Voltri, la Guardia di Finanza ha sequestrato
mille confezioni di idrochinone, una sostanza che sbianca la pelle e che l'Ue
ha bandito perché cancerogena. Erano destinate agli immigrati che usano
quella crema per trovare lavoro o una casa in affitto con un'apparenza che
li renda più accettabili.
Siamo ben lontani da un desiderio di imitazione di Michael Jackson, che
pervicacemente insiste nell'accentuare il livello di eburneità della sua
mozzarellica carnagione, e che, secondo un mio amico, avrebbe bisogno di
farsi qualche lampada. Al contrario, in un clima di sospetto montante per
un'epidermide troppo olivastra e troppo simile a quella dei terroristi
islamici, c'è chi decide di difendersi. È questione di accettazione di sé e
da parte dei "non colorati" italiani. E quindi, forse, di sopravvivenza.
Addolora considerare che il colore non conta se uno si chiama Naomi Campbell
o Fiona May, mentre è ritenuto un elemento discriminante se una donna di
Capo Verde cerca un lavoro come badante. Le scelte, come al solito, vengono
fatte prescindendo dalle specifiche capacità e dall'effettiva abilità
operativa.
E allora rassegniamoci a continuare a vedere i maniaci dell'abbronzatura
insistere ad apparire con la camicia sempre più slacciata e col petto sempre
più bronzeo. Per risolvere definitivamente il problema, consiglierei un
trapianto-scambio di melanina con un aspirante muratore del Senegal o con i
pigmenti di un clandestino della Somalia.
A meno di accettarsi ed accettare l'altro per quello che è. E decidere che
non esiste altra soluzione per i ghetti fisici e mentali che ci siamo
costruiti, se non quella di eliminarli.
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