|
di Mina
Tutto e tutti hanno un prezzo. Anche la convinzione, anche un’idea. Pezzi di
cadaveri, pezzi di viventi costano. È inutile tentare di escludere dal
mercato l’inevitabile, così come il morire o il sopravvivere. In questo
caso, la quantificazione è, semmai, un po’ più difficile, trattandosi di
merce insolita. La vita, il corpo umano, la menomazione, la cura della
malattia.
La storia ci avverte che la mercificazione dell’uomo non è una novità.
Prostituzione, schiavitù, la stessa disparità socio-economica ne sono
esempî. Ma questa volta il rito obbligatorio della prezzatura riguarda
organi da trapiantare. Qualcuno, affetto da disfunzione irreversibile di una
parte del suo corpo, deve avere i soldi per farselo sostituire. Qualcuno,
vivo e sano, “ricco” possidente di un sovrappiù di fegato, rene, polmone e
altre frattaglie, vuole i soldi per cederlo. Qualcuno, in tragica ambascia
per la morte di un parente, vuole un risarcimento economico al dolore per
cedere parti del caro estinto. Mediatori del negozio, siano essi medici o
chirurghi o organizzatori, vogliono i soldi per compiere i trasferimenti.
L’American Medical Association afferma che una tale impostazione possa
incentivare le donazioni, ormai trasformate in vendita, per poi aumentare
l’attività trapiantologica e possa anche limitare un mercato clandestino,
già dilagante, peraltro più immorale e meno sicuro. Di fronte alle proteste,
i medici hanno cambiato le parole, pensando che parlare di “rimborso spese”
potesse rendere il tutto più accettabile.
Quando vedo mettersi in moto l’efficientismo soluzionistico delle grandi
macchine di potere, mi insospettisco e mi torna quel lieve senso di nausea.
Risolvere dubbi etici, facendo elenchi della spesa di detersivi e di
merendine, è un giochetto che tende a tradire l’intelligenza e a scavalcare
il diritto alla comprensione. Nella logica del pretendere e dell’offrire
soldi, soprattutto in campo medico, non può risiedere la giusta e motivata
soluzione. Quando nel campo della distribuzione della salute o della cura
delle malattie intervengono fattori economici è troppo dolorosamente
probabile la disuguaglianza. Con la legittimazione della vendita e la
conseguente mercificazione del corpo, sarebbero ancora una volta i ricchi a
guadagnarci. E i poveri a subire.
Rassegniamoci. La donazione come atto gratuito che parte dal senso di
solidarietà e di condivisione si piega alla logica del mercato, secondo
l’idea di una persona intesa come macchina da cui smontare i pezzi di
ricambio.
Nel dialetto cremonese, che spesso mi viene in aiuto, c’è una meravigliosa
locuzione di volgarità ... un consiglio ... un suggerimento pari al suo
potere di offesa: “va a fitàa l’orghen”. Mi sembra un canto celestiale in
confronto all’espressione “vendere gli organi”, spacciata come elegante e
geniale soluzione al problema dei trapianti.
|
|