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di Mina
Come a reagire di fronte ad uno scoppio di complessità, i cosiddetti giovani
d’oggi elementarizzano il pensiero e la comunicazione del pensiero. La
costruzione logica tende alla codifica. Alfabeto e ortografia SMS,
linguaggio internet, codice a barre, codice fiscale. Per carità, nulla a che
vedere con il leonardesco Codice Atlantico o con quello Leicester-Hammer,
acquistato, guarda caso, da Bill Gates. Solo codici banali e banalizzanti,
magari velocizzanti, ma irrimediabilmente contratti e depauperati
dell’umana, sensibile, individuale, unica interpretazione. E quando si
tratta di utilizzare l’intelligenza nelle sue proprietà di comprensione
modulante e colta, succede l’intoppo fatale dell’impossibilità al progresso
e all’incremento di civiltà.
L’involuzione, fino alla bestialità, costringe ragazzi ad uccidere a
coltellate coetanei, compagni, analoghi per uno sguardo riferito alla
femmina considerata “roba propria” o del proprio gruppo. Viene a mancare, in
una situazione ricca di ormoni e di risposte neurologiche primordiali, quel
segmento comunicativo fatto di espressioni che potrebbero giustificare la
precisazione di “sapiens”. E resta drammaticamente latitante la capacità di
rielaborare le proprie emozioni, di comprendere la propria interiorità che,
sempre più simile ad un guazzabuglio istintivo, non riesce a trovare una
possibile chiave di lettura. Nel disastro del qualunquismo della ragione,
troppo spesso aggravato anche dai cosiddetti esperti che telepontificano in
seconda serata, nella melassa dell’esaltazione del sentimentalismo, della
percezione solo emotiva, molti ragazzi non sanno più fare i conti con la
realtà, se non con il filtro della reazione più o meno bestiale. Viviamo
tutti nel tempo del patetico, con la triste conseguenza di aver eliminato il
senso del tragico e il significato dell’altro. Le parole, i gesti, le
articolazioni morali, la lettura tra le righe, le spiegazioni, la capacità
critica, l’uso dei freni inibitori, la convinzione servirebbero a rendere
una disputa tra uomini diversa da un documentario girato in una savana. È
così che la disabitudine ad usare il cervello crea il mostro
dell’intolleranza.
Prima dell’aritmetica, addirittura prima del nostro eccelso, amatissimo
italiano, sono la tolleranza, l’autocontrollo e la convivenza civile che
andrebbero insegnati a scuola. Da subito e per sempre, università compresa.
Oppure, forse, proprio dentro l’aritmetica e l’italiano, la storia dell’arte
e la fisica, ricominciare ad insegnare il gusto per il bello e per il vero,
cosicché la conoscenza di un teorema, di un testo poetico, di un dipinto,
siano il fondamento per una maggiore consapevolezza in un ragazzo. Sì,
perché è solo quella coscienza che lo può rendere più istruito e colto, e
quindi più libero di affrancarsi dalla cieca servitù del proprio istinto.
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