Mina

210. Maradona così bravo da doversi rassegnare al destino di numero uno

IL MIO CUORE BATTE PER DIEGO
 

 

di Mina



Diego Armando Maradona sta meglio. È addirittura uscito dall’ospedale. Sono felice. E mi dispiace soltanto della solita impudicizia di chi non lascia vivere o morire in pace qualcuno.
I parlatori dei fatti degli altri avevano già colto al balzo questa ultima occasione di difficoltà di un altro campione per sciorinare diarroicamente un po’ di morale da “Bar Sport”, un po’ di competenza da bigino su droghe leggere e pesanti, un po’ di interpretazione volgare della fisiopatologia respiratoria. E così Maradona intubato, estubato e reintubato diventava attaccabile sui suoi perché e, nello stesso tempo, sminuito a omuncolo cui dedicare una ramanzina senza troppa compassione. Come siete stati buoni! Come siete simpatici quando vi spartite avidamente la putrescina che sembra manna piovuta dal cielo per rinfocolare la vostra logica da tritacarne che riduce tutto al solito copione per il teatrino mediatico. Morti o moribondi o a rischio di morire, indifferentemente invischiati in guerre o paci o armistizî, indifferentemente precipitati o esplosi o bruciati, indifferentemente suicidi o involontarî. Basta che siano visibili ed esponibili.
Al formidabile, ineguagliabile signor Maradona non piacerà. Non aveva bisogno di alcun commento questo suo pezzo di vita. Maradona è stato il più grande nel fare ciò che voleva fare e ciò che tutti volevano che facesse. Essere campioni significa brillare per sempre e comunque, detenere per sempre il ruolo di astro nell’empireo di competenza. La faccia non visibile di un corpo celeste può essere e deve rimanere più brutta o più bella dell’altra. Esplorarla non deve significare snaturarla né deturparla né cambiarla. Non ne abbiamo il diritto. È la faccia non esposta, non è fatta per noi. È un privato obbrobrio o un privato tesoro.
Avrei voluto stare con il popolo di Maradona che, fuori dall’ospedale, voleva soltanto fargli arrivare l’amore e la comprensione. In avenida Puyrredon a Buenos Aires, con la gente che innalzava immaginette e improvvisava preghiere. Loro sono la verità. Con quelli degli striscioni, che della nostalgia fanno un motto. Con quelli che piangono e rimpiangono più che possono e che insieme si addolorano nella paura della privazione di un idolo amato. Questa gente sa bene che un talento così puro, espresso semplicemente con un piede sinistro, non può convivere con il carattere e con i comportamenti di un ufficiale giudiziario.
Era già tutto scritto, fin dai primi calci infantili tra le fila delle Cebollitas dell’Argentinos Juniors. Non dimentico il primissimo filmato nel quale aveva quella bella faccina, premonitrice di quasi tutto. Su un campetto spelacchiato palleggiava e intanto, forse, capiva già di essere così bravo da doversi rassegnare al destino di un numero uno. Diego, mi corazón está contigo.
 

 

Secondo me: «210. Maradona così bravo da doversi rassegnare al destino di numero uno. IL MIO CUORE BATTE PER DIEGO» - di Mina, La Stampa, Lunedì 3 maggio 2004
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