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di Mina
Alcuni anni fa, annunciando il suo ritiro dalle scene, Alain Delon dichiarò
che l’unica cosa che avrebbe potuto fargli cambiare idea e farlo tornare sul
set sarebbe stato un film con Marlon Brando di cui, e questo mi fa pensare
che sia bello lucido, è un grande ammiratore. In quel caso sarebbe stato
felice di fare la parte di un cameriere che porta un vassoio a Brando,
dicendo soltanto: “Il signore è servito”. Questo fa onore a Delon, perché in
tal modo riconosce che esistono delle severe graduatorie di valore e dei
punti di riferimento assolutamente certi nel firmamento delle stelle del
cinema.
I compleanni sono una sciagura per i divi. Li strappano dall’empireo
dell’eternità e li costringono a rientrare nella prosastica dimensione del
tempo. Una cifra, una data, un’età sono una casella nella scala della
cronologia, che riporta sulla terra chi, per natura, è invece distante,
inaccessibile, intatto, inamovibile nella nostra scala di immagini
definitive e indimenticabili. E poi, questi maledetti compleanni costringono
tutti a pronunciarsi, a ricordare, a valutare, a snocciolare le sequele dei
“io mi ricordo che quella volta ...”, come a voler dichiarare di essere
entrati in una dimensione di luce più fulgida, per il semplice fatto di
esser venuti a contatto, anche solo per cinque minuti, con il divo.
Dai suoi eremi, dal chiuso della sua vita ormai ritirata, Brando non sarà
neanche sfiorato dalla caterva di parole che da giorni stanno tracimando
dalle pagine dei giornali per i suoi 80 anni. E il fatto che non leggerà
neppure queste mie inutili parole è un motivo in più per esprimergli tutta
la mia ammirazione. Ma se Marlon dovesse solo essere raggiunto dall’eco di
tutte le celebrazioni, molte delle quali sembrano un panegirico alla memoria
di un defunto, mi auguro che possa ripetere ciò che disse in occasione dello
scandalo scoppiato all’uscita di “Ultimo tango a Parigi”: “Non intendo
spalmare il burro della mia vita sul pane ammuffito di quei giornalacci”.
Un attore richiede silenzio. Lo si deve guardare, preferibilmente mentre si
è al buio, si devono studiare a memoria le sue frasi, ma soprattutto i modi,
poco importa che si tratti di un appoggiarsi a una moto, di rialzare il
bavero di un cappotto di cammello, di salire le scale o di tenere un sigaro
tra le dita. Vale lo stesso per un cantante, per un direttore d’orchestra,
per chi sa parlare solo attraverso l’arte.
So di arrivare ultima in questa catena di celebrazione per Brando. E ne sono
lieta, perché così mi è stato evitato il compito di sciorinarne la
biografia, l’elenco dei film, le stranezze, gli amori veri o attribuiti.
Arrivare ultima consente di avere l’ultima parola. Per dire solo che lui ha
inventato il cinema. E che “se dell’eterne idee / l’una sei tu, ... di qua
dove son gli anni infausti e brevi, / questo d’ignoto amante inno ricevi”.
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