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di Mina
Allora, il Festival. La notizia positiva è che è finito. Così non saremo più
costretti a dire cosa ne pensiamo al panettiere, al dentista, alla zia
Piera, ai vicini di casa, agli amici, alla gente che ti ferma per strada, ai
colleghi che, perplessi, cercano solidarietà e appoggio nella loro scarsa
valutazione del come, più che del cosa.
Sì, l’orchestra era troppo fuori, troppo enfatica, troppo ingombrante. Sì,
alcuni cantanti erano abbastanza stonazzati e non basta l’emozione come
giustificativo. Non interessa a nessuno se a casa loro sono perfettamente
intonati. Sì, neppure io ho capito bene in che cosa sia consistito il
rinnovamento. Boh!. Sì, anch’io avrei preferito la vecchia formula, la
vecchia liturgia, con cantanti noti e meno noti, con una buona
rappresentanza di signore o ragazze coi loro vestitoni da sera un po’
caricaturali, con le vallette che riassumono il testo della canzone come
faceva la meravigliosa Franca Valeri che imitandole presentando “L’edera”
diceva: “... e così lei resta legata al noto rampicante”, con un bel
presentatore autorevole e rispettoso, un bel Baudone, insomma. Sì, le
canzoni erano le solite, le solite: un po’ carine, un po’ no. Sì, i
cantanti, capitani coraggiosi, presi alla gola dal macchinone abbastanza
irrispettoso, hanno fatto quello che hanno potuto. Ma, Sanremo è Sanremo. O
no?
La più brava? Certamente la Cortellesi. Ma io temo che abbia sbagliato
mestiere. Doveva fare la cantante, ha una padronanza, una leggerezza, una
intensità, una intonazione ... e poi è bella, lunga e con una rara eleganza
naturale. Formidabile anche in quello che è il suo specifico. Chissà se è
anche chirurgo del cervello. Non mi meraviglierei.
Ah, dimenticavo. Sono pazza di Crozza. Io di Crozza sono pazza. Sono pazza
già da un pezzo. “Sono pazza, io m’ammazzo, se m’ammazzo morirò”.
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