Mina

195. Contro la spedizione:

MARTE? CON TUTTO QUELLO CHE C’È DA FARE SULLA TERRA
 

 

di Mina



“I couldn’t care less”. Ve lo dico nella vostra lingua. Sarò anche l’unica al mondo, ma a me del robottino su Marte, di “c’è l’acqua o non c’è l’acqua?”, di “guardate, è proprio rosso il Pianeta Rosso”, di, “o signùr, il robottino non risponde più”, di “that’s one small step for a man, one giant leap for mankind”, insomma di tutta quella roba lì non potrebbe importarmi di meno. E, udite udite, non mi sento neanche antiscientifica o contraria alla conoscenza.

Vado giù piatta, anche se potrà sembrare una posizione demagogica o di comodo: con tutto quello che c’è da fare sulla Terra, è sensato impegnare centinaia di miliardi di dollari per scorrazzare su Marte? Tanto per essere concreti, la Nasa sostiene che per arrivare sul Pianeta Rosso entro il 2030 occorrono 750 miliardi di dollari.

E una volta messo piede su quelle lande massacrate dal nulla e dai meno 55 gradi di temperatura media, cosa si fa? Qualche settimana per rimettersi in sesto e sgranchire le gambe dopo sette o otto mesi di viaggio in assenza di gravità. Uno spuntino ogni tanto a base di verdure liofilizzate e carne disidratata. E poi alla ricerca di un angolino pittoresco, magari con qualche cratere in bella vista, su sfondo desolatamente rossastro, da immortalare in una foto da inviare alla madre Terra, a mo’ di cartolina-ricordo. Altre valangate di milardi per costruire una base spaziale. Niente di trascendentale, per carità. Ci si potrebbe accontentare di una brandina per tentare un pisolino e di un comodino per appoggiare la tuta, mentre il resto della truppa va a cercare un po’ di ghiaccio della calotta polare per una doccia, rigorosamente necessaria dopo 56 milioni di kilometri di viaggio.

Con tutto quello che c’è da fare sulla Terra ...

I fantascientisti, ebbri di razionalismo futurista, mi dicono che di fronte all’esplosione demografica, soprattutto nel Terzo Mondo, non c’è altra scelta che questa. La colonizzazione del giardino di casa, del pianeta più vicino e più simile alla Terra. In fondo, l’hanno sempre fatto, gli uomini. I Greci nel Sud Italia, i Fenici a Cartagine, gli Inglesi in America. Ma temo, per fortuna, che non riuscirò, verso il 2035, a vedere la scena degli americani, colti da neo-grandeur, che rastrellano uomini, donne e bambini dei villaggi ugandesi per portarli in massa a Cape Canaveral per il definitivo espatrio su Marte. Gente che non ha mai visto nulla oltre la strada che porta al villaggio più vicino, costretta a imbarcarsi oltre i confini del mondo, verso il pianeta coloniale. In fondo, rispetto a una vita di stenti, meglio incapsularli sotto volte di plexiglas marziano a fare la vita dei topi, no? Ma certo, si applicheranno a bonificare i terreni rossorocciosi, nella speranza di ricavare, dopo qualche anno, una foglia di manioca o una bieca pannocchia.
Con tutto quello che c’è da fare sulla Terra ...
 

 

Secondo me: «195. Contro la spedizione: MARTE? CON TUTTO QUELLO CHE C’È DA FARE SULLA TERRA» - di Mina, La Stampa, Sabato 7 Febbraio 2004
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