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di Mina
“Se nella tua stanza mi vedi a distanza, che dolce che strana emozione,
questa è la televisione, quasi la felicità”.
Quasi la felicità. Ma sì, perché no? Oggi, come in questa deliziosa
canzoncina d’epoca, anch’io dico: “Viva la televisione”. Che ci sittera a
tempo pieno, senza respirare e senza riprendere fiato per capire che cosa
stia facendo. Che si è appollaiata sul trono delle nostre serate e domina
come imperatrice delle nostre case, sempre più vuote di pensieri e sempre
più inzuppate di rumori. Che ci inghiottisce il tempo e annulla lo spazio.
Che, a seconda dei casi, vomita pattume o fa spuntare fiori nel deserto. Che
ci penetra nell’iride e ci trasforma in animaloni tecnologici che, brandendo
telecomandi, si deliziano col saltapicchio.
Che ci fa sembrare tutto possibile, tanto se è capace quello ... figurati io
... Che ci tiene svegli quando vorremmo dormire e ci fa dormire quando
vorrebbe tenerci svegli. Che cerca pochissimo e trova ancora meno. Che si
cala i pantaloni di fronte al primo possibile fenomeno da baraccone. Che non
ricorda gran che di sé. Che ricorda troppo, ma senza senso critico e senza
volontà costruttiva.
Che ci ha consegnato in toto nelle mani delle merendine, dei pannolini, dei
sofficini, dei rigatoni, delle schiume da barba, dei dentifrici, degli
adesivi per dentiere che sono ormai i suoi veri, unici direttori,
amministratori e creativi. Che non potrà più tornare indietro, ma neppure
andare avanti, temo. Che in qualche piega ha stelle abbaglianti, che
scappano via lasciandoci sbigottiti.
Che continua a perpetuare la mitologia dell’artificio. Che come novella Idra
appare ingovernabile. Che fa ammattire legislatori, inventori di format,
critici e sociologi. Che digerisce e vomita se stessa. Che maltratta il
teatro, ignorandolo, e strapazza la musica, moltiplicandola a dismisura. Che
non vuole censura, ma non si libera da se stessa. Che, con indifferenza,
rincorre tutti e ciascuno nel tentativo dell’omologazione.
Che dissocia le divergenze in immagini polpettizzate. Che, per il suo
compleanno, eccita revivalisti e vecchie glorie a mostrare memoria e
indimenticabilità. Che sprona innovatori obbligati, sicuri di essere
dimenticati. Che non sarà finalmente libera se non quando riuscirà a
mostrare in diretta soltanto la gastroscopia del signor Rossi o la cottura
dell’arrosto della signora Bianchi. Che si vergogna di aver spezzato in due
il Novecento, interrompendo bruscamente la vivacità intellettuale di molti.
Che ci fa vedere Bin Laden col sottofondo della canzoncina di Heidi.
Che però ci emoziona tutti, anche chi sta nel buio della sua stanzetta e
vive l’anonimato della sua piccola vita, facendoci salire sul podio, sul
gradino più alto, per gridare insieme: “Campioni del mondo! Campioni del
mondo!”.
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