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di Mina
Da alcuni mesi sulle notti dei
discotecari aleggia un disegno di legge del governo che punta alla chiusura
anticipata dei locali notturni, fissata per tutti, in modo inderogabile,
alle tre. Le solite argomentazioni a favore o contro, che si inanellano ogni
volta che appare all’orizzonte un provvedimento riguardante la vita concreta
degli italiani, sono facilmente immaginabili. Se ne è avuta eco qualche
giorno fa presso la Commissione Affari Costituzionali della Camera, che sta
esaminando il provvedimento.
I medici rilevano un calo del 50 % dell’efficienza psico-fisica nelle
primissime ore del mattino, anche a causa di una miscela killer di luci
psichedeliche e di decibel, a cui spesso si aggiungono alcolici in abuso e
impasticcamenti letali. L’alterazione delle percezioni sensoriali è il
prezzo da pagare, o forse addirittura lo scopo stesso, esasperatamente
cercato da chi popola la notte.
Troverei cretino liquidare la faccenda disperata e disperante citando
Pasolini che così descriveva i giovani quasi trent’anni fa: “Non hanno
espressione alcuna: sono l’ambiguità fatta carne. I loro occhi sfuggono, il
loro pensiero è perpetuamente altrove ... Essi non hanno nessuna luce negli
occhi: i lineamenti sono contraffatti ... Sono quasi afasici e lanciano ogni
tanto urli gutturali e interiezioni, tutte di carattere osceno. Non sanno
sorridere o ridere. Sanno solo ghignare o sghignazzare”. Poteva essere vero.
Oggi è peggio. Oggi i motivi per cercare di andare fuori, di stare fuori,
aumentano a vista d’occhio. Gli adulti non stanno dando un gran buon
esempio. Le guerre, il cinismo, la mercificazione di tutto, la destituzione
di ogni legge o regola. Basta aprire un giornale o accendere la televisione
per desiderare immediatamente di non esserci, in questo mondo di merda. Cosa
vuoi costruire? Cosa vuoi pensare al futuro? Cosa vuoi immaginare una vita
serena per far nascere dei figli? I “buoni” sono troppo buoni e i “cattivi”
sono troppo cattivi. Dove vai a sbattere la testa?
L’unico triste, codardo “rimedio” è cercare uno spazio immune dai ritmi
della quotidiana assurdità, un surrogato di piccola felicità rinchiusa in
una pasticca, o in una bottiglia, o in una stanzona chiusa dove il movimento
dà forma al bisogno di scrollarsi di dosso il vuoto. Che amarezza.
Sting, qualche tempo fa, aveva fatto un pezzo splendido, si chiamava “Russians”.
Era il tempo in cui la Russia sembrava essere l’unico nemico pericolosamente
reale. “Spero che anche i russi amino i loro figli” cantava. Adesso
bisognerebbe dire: spero che il mondo, tutto il mondo ami i propri figli. E
quelli degli altri.
I giovani che ci circondano, gli adolescenti, indossano maschere per
nascondersi, ma anche per non vedere. Ed è colpa nostra. Spesso questi
giovani sono solo vittime. Riproducono, a modo loro, il vuoto dei padri, che
non sanno mostrare altri esempi se non la schifezza. I cattivi maestri
continuano a restare sui loro troni. La peste dilaga, ma a loro poco
importa. Ed è il popolo che paga. Soprattutto i giovani, che pagano le colpe
dei falsi padri.
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