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di Mina
Piccoli pezzi di storia se ne vanno in pensione. Riti del vivere italico che
dovremo abituarci a dimenticare. Le mamme non piangeranno più lo strappo del
figlio che una cartolina ministeriale toglie dalle loro cure e le fidanzate
non stringeranno più la foto del loro amato partito soldato. Fine degli
addii sulle banchine delle stazioni. Fine della retorica patria o
patriottica.
I ragazzi nati nel 1986 saranno i primi a beneficiare dell’abolizione, dal
2005, del servizio militare obbligatorio, che porterà in tempi rapidi ad
istituire un esercito di volontari.
Son finiti i tempi in cui la paura di un golpe faceva temere che i corpi
militari fossero costituiti solo da professionisti della divisa. Forse per
un desiderio di maggiore efficienza, forse per un bisogno di razionalizzare
le spese, certamente per una condizione giovanile che è cambiata, la svolta
si imponeva come una scelta dovuta. Il calo demografico e le nuove esigenze
a cui gli eserciti sono chiamati a rispondere hanno portato a cambiare
radicalmente pagina. E non credo che molti piangeranno. Non lo faranno le
migliaia di ragazzi che si iscrivono all’università soltanto per rimandare
la naja. Non lo faranno di certo i moltissimi genitori che hanno perso i
figli militari, caduti in tempo di pace. E si parla (o meglio, non se ne
parla), secondo dati ufficiali della Commissione Difesa, di oltre 10 mila
morti, nella maggior parte dei casi di suicidi o di menengiti, e mai a causa
del nonnismo, delle faide interne nelle caserme, della negligenza dei
comandi militari, dell’uranio impoverito, plutonio, benzene, emissioni
elettromagnetiche, eccetera.
Il soldato diviene una professione qualificata che ogni ragazzo potrà
scegliere al pari di ogni altro lavoro. Ci voleva. Soprattutto in un’epoca
in cui i militari italiani sono impegnati nei posti più disgraziati del
mondo nel tentativo di riportare un minimo d’ordine e di legalità.
Li vorremmo vedere sempre più vicini alle popolazioni che soffrono, occupati
più nel cosiddetto “peace keeping” che negli addestramenti al poligono di
tiro. Più simili ad una Croce Rossa ben organizzata che a un branco di emuli
di Rambo. Gente che vivesse una missione di servizio, quando accadono
sciagure o calamità, piuttosto che soldatini costretti a vincere una guerra.
Per ora accontentiamoci di non vedere più i nostri figli costretti ad
indossare una divisa e a “giocare” con le pistole. Può essere già un gran
bel risultato. Soprattutto perché dipenderà da una libera scelta
individuale. Per il passo successivo, quello più definitivo, quello più
auspicato e decisivo, dovremo aspettare ancora millenni, forse.
Finisce la leva obbligatoria, finiscono le armi messe in mano ad un ragazzo
che ha in mente altri sogni. A quando, definitivamente, la fine della
guerra? Di ogni guerra?
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