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di Mina
Vedi? Non ce ne eravamo accorte di suscitare un sentimento di gelosia nei
maschi per la nostra “bella vita”. Veramente si tratta di donne inglesi che,
secondo un sondaggio, sono invidiate dalla maggioranza dei maschi.
Ebbene sì. Gli uomini esprimono gelosia per “l’altra metà del cielo”,
considerata in posizione privilegiata, perché si può godere “il meglio di
entrambi i mondi”, in ufficio e a casa. L’ennesimo sondaggio enfatizza il
dato del 44 % dei maschi che si dichiara insoddisfatto del proprio livello
di qualità della vita.
Non ci credo. Va bene che gli algidi, “perfidi” inglesi sono molto diversi
da noi, ma l’omo è omo. Qui mi si sovvertono migliaia di anni di un costume
che era diventato come una abitudine caldina e quasi rassicurante. Tu sei,
anzi, fai questo. E io sono, anzi, faccio quest’altro.
È vero che ci sono tentativi di ribaltamento delle tradizioni, soprattutto
partendo dalle leggi sulle “pari opportunità”. Ma lasciano il tempo che
trovano. Come è accaduto in una ditta di mobili della Brianza velenosa. Il
capo dell’azienda si rivolge all’ufficio di collocamento perché serve un
magazziniere. Il primo della lista è una donna, che viene assunta e
incaricata di spostare divani ingombranti e mobili pachidermici. La
poveretta resiste due giorni e si dimette, facendo scoppiare il caso.
Qui non si tratta di lesione dei diritti e neppure di pari opportunità non
rispettate. La parità si colloca sul livello delle possibilità di partenza,
non sugli esiti, che dipendono sempre dalle specifiche capacità di ognuno,
dalla preparazione, dall’intelligenza e dall’effettiva abilità operativa.
Un uomo vuole restarsene a casa, col grembiule indosso, a fare andare su e
giù l’aspirapolvere e a preparare biberon? No problem. Se ne è capace,
prego, si accomodi pure. Ma senza rimpianti per una carriera che non avanza
o per un conto in banca che non lievita. E la moglie preferisce dedicarsi
anima e corpo al lavoro? Valuterà lei rischi, vantaggi e benefici. E
deciderà di conseguenza.
Il limite culturale del femminismo è stata l’insistenza sull’uguaglianza,
senza rimettere in discussione gli stereotipi più insulsi eternamente
rimarcati dai meccanismi mediatici. E infatti la parità invocata dai cortei
ed ora sancita dalle leggi non ha modificato la proposta televisiva, sempre
più contrassegnata dalla sua solita debordante esplosione di glutei
svolazzanti e di starlette col talento e la grinta di un portacenere. E così
si perpetua il teorema prodotto dall’immaginario maschile, per cui il ruolo
della donna poco si differenzia da quello di un soprammobile.
Le parole dimenticate sono, purtroppo, quelle più vere: “io sono”, quindi
“scelgo”, quindi “faccio”. Le abbiamo sostituite con tutte le coniugazioni
possibili del verbo “apparire”. Non lamentiamoci delle conseguenze.
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