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di Mina
Fino a non molti anni fa, da quelle parti, non ci credevano. Almeno a
livello di teorie ufficiali. Anzi, parlare di anima e dintorni era
pericoloso e poteva essere argomento sufficiente per esser considerati dei
temibili controrivoluzionari antisovietici. Adesso, in un eccesso di furore
dimostrativo, c’è chi sostiene di essere riuscito a imbrigliare, a
incastrare l’anima dentro gli strumenti della scienza.
Le semplificazioni giornalistiche, sempre in agguato, si sbarazzano della
notizia con un veloce dispaccio d’agenzia. Un fisico di San Pietroburgo,
Konstantin Korotkov, con l’orgoglio compiaciuto da anni di fruttuose
ricerche, dichiara al mondo di aver fotografato l’anima. Poi, però, ci si
accorge che la Polaroid dell’anima non l’hanno scattata l’altro ieri, ma che
si tratta di una ricerca che dura da lungo tempo e i cui risultati sono già
stati pubblicati anni fa. E che Korotkov ha voluto studiare le oscillazioni
fosforescenti del campo elettromagnetico intorno al corpo dei defunti, che
perdurerebbero per un periodo fra otto e quarantotto ore a seconda del tipo
di decesso. Più la morte è improvvisa e non naturale, più l’anima
faticherebbe a staccarsi dal corpo. E, attenzione, lui stesso non parla di
“anima”. Usando un termine che credevamo sepolto nelle aule scolastiche e
ora in disuso, dopo che Petrarca ne aveva fatto un suo cavallo di battaglia,
Korotkov parla di “aura vitale” composta da vibrazioni colorate e rilevabili
con complicati strumenti spettroscopici.
Ma non è dagli esperimenti svolti in un laboratorio di San Pietroburgo che
possiamo capire che cosa sia questo misterioso filo che costituisce la
nostra vera identità, la nostra essenza, bella o brutta che sia. Non mi
accontento di sapere che un giorno dalla consistenza fisica si librerà un
campo elettromagnetico. C’è di più, molto di più. Pazienza se non so dire di
che cosa si tratti col linguaggio analitico della scienza. C’è, comunque.
È quel campo da cui sono fiorite le mille espressioni dell’uomo, l’arte, la
musica, l’amore, le parole, gli affetti, la poesia. È quel filo sottile che
lega alla vita e che non può essere sradicato neppure di fronte al decadere
della carne. È, forse, quella cosa per cui posso affermare, o magari solo
sperare, che ogni abbraccio autentico che la vita mi ha dato sarà per
sempre. Forse è quel “lieto fine” che desideriamo con una struggente
tenerezza, quel bisogno di definitiva presenza dell’amato che la vita non ci
permette di trattenere così strettamente come il nostro cuore vorrebbe. È
quel territorio, quel luogo dove noi vorremmo addormentarci per sempre
dentro le braccia di chi abbiamo amato.
“Senza confini”, diceva Eraclito dell’anima. Senza confini perché motore di
ogni vero amore. E quindi delle uniche cose definitivamente, concretamente
infinite.
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