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di Mina
Sarà forse per gli abiti lunghi e démodé di inizio ‘900, già però in un
tentativo di foggia similmaschile, che le protofemministe ci fanno
leggermente sorridere. O, più probabilmente, sarà il vezzoso nome di
“suffragette”, che fu affibbiato loro dalla stampa dell’epoca, a far venir
su, da un qualche angolo nascosto del cuore, un piccolo sussulto di
rimpianto per un mondo in cui ancora si lottava col proprio corpo per una
causa degna.
E visto che un anniversario o una commemorazione ormai non li si nega più a
nessuno, anche i 100 anni dalla nascita del movimento per il diritto di voto
alle donne diventano in Gran Bretagna l’occasione per mostre, dibattiti e
trasmissioni televisive. Ovviamente, per mettere un po’ di pepe nel rito del
ricordo collettivo, non può mancare lo scoop, la clamorosa rivelazione a
posteriori. Come quella secondo cui Scotland Yard applicò, per la prima
volta nella sua storia, la tecnica di riprendere o fotografare le militanti
femministe, allo scopo di realizzare una primordiale schedatura delle
pericolose protestatrici.
Nonostante tutte le manovre per controllare le suffragette, il cui nome
deriva dal fatto che combattevano per estendere alle donne il suffragio
elettorale, ben presto la vittoria femminista arrivò, quando, nel 1918,
l’Inghilterra concesse il voto alle donne. Risultato storico, di cui tutti,
uomini e donne, potremmo oggi tranquillamente fare a meno. Sì, perché non
c’è più bisogno che, indipendentemente dal sesso, la singola persona scelga
chi debba governare. Lo Stato-mamma ha preso il sopravvento e, sgomitando un
po’, si è intrufolato in tutti gli ambiti della vita. Decide tutto lui, ci
dice in quali spazi non dobbiamo entrare, perché lì c’è il lupo cattivo, ci
raziona le porzioni al ristorante, ci mette i necrologi sui pacchetti di
sigarette, perché ci vuole bene.
E quindi, che bisogno c’è di votare, dal momento che abbiamo già chi pensa a
tutto? Le donne ritornino al loro ruolo primordiale e, imitando la mammona
statale, si occupino solo della casa, dei figli, dei fornelli.
Son passati cinque minuti da quando le donne italiane votavano lo stesso
partito del marito e per loro la politica era roba astrusa e poco attraente.
Sono passati dieci minuti da quando hanno ottenuto il diritto del voto. Le
loro colleghe elvetiche, non certo meno evolute delle italiche, han dovuto
aspettare fino al 1971 per poter accedere alle urne e in certi cantoni, come
in quello di Uri o di Nidwald, fino a tre minuti fa le decisioni le
prendevano solo gli uomini, radunati tutti sulla pubblica piazza e per
alzata di mano.
Non è un diritto concesso dallo Stato ciò che crea la dignità o il valore di
una persona. Bach, Leonardo o Beethoven non sapevano nemmeno che cosa fosse
una cabina elettorale. E di certo non sono passati alla storia per aver
messo una scheda dentro un’urna.
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