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di Mina
Qualsiasi bambino si sarebbe annoiato. Troppe regole, troppa precisione,
troppi spettatori. E poi, è un gioco da grandi. Sposarsi, in abito bianco. E
ancora: nessun bambino va a giocare in chiesa. Solo i grandi vanno a farsi
promesse eterne, improbabili. Annoiata dalla cerimoniosità, con due paggetti
appiccicati allo strascico, sbattendo i fiorellini che non possono
identificarla come sposa, Ana Maria, figlia del re degli zingari romeni
Florin Cioaba, si ritira dal gioco. E sbatte il bouquet infastidita.
Inconsapevole, forse, ma con la decisione di non accettare un marito
diciassettenne imposto da un incomprensibile disegno paterno.
Dodici anni sono pochi per potersi promettere l’amore, per indossare un
abito che non rappresenta null’altro che una variante solenne del vestito
delle bambole, per sottomettersi ad un diadema regale che, a quell’età, si
immagina ancora che esista solo nelle fiabe. Vittima di una tradizione che
deve esser rispettata, perché da sempre si fa così, Ana Maria rigetta la
finzione, rinuncia ai 50 maiali sgozzati per il pranzo e disdegna la dote,
che non sa neppure cos’è. Ma il padre-padrone, minacciandola, la riporta
all’altare.
Un sussulto di dignità scuote la festa tzigana. Ma tutto è vano. Il giorno
dopo, ai 400 invitati ancora presenti, le famiglie degli sposi mostrano
l’orgoglio di un lenzuolo macchiato di sangue, prova inoppugnabile che il
matrimonio è stato consumato.
Consumato, macchiato, vilipeso. Come è stata calpestata la vita di una
bambina. Ed intanto il cosiddetto mondo civile sta a guardare. Forse in nome
del rispetto delle tradizioni altrui. Le stesse tradizioni che consentono
ancora, nel 2003, che a Cuba gli oppositori marciscano nelle patrie galere,
che in Nigeria un giovane sia condannato a morire per lapidazione per avere
avuto rapporti omosessuali, che in Cina si muoia per avere venduto merce
avariata.
La non ingerenza è l’altra faccia della nostra indifferenza, del ritenersi
appagati di vivere nel migliore dei mondi possibili. Un po’ più in là del
nostro naso mani omicide, ignoranti e incolte colpiscono ancora in nome dei
ritmi ancestrali delle leggi di casta, dei rigori ciechi degli integralismi,
della negazione dell’uomo. E se qualcuno osa mettere il paletto della
dignità come fondamento di ogni possibile convivenza, si corre il rischio di
passare per razzisti irrispettosi delle diversità e delle tradizioni altrui.
Il governo rumeno apre un’inchiesta sul fatto, ma intanto sembra
barcamenarsi in un evidente imbarazzo, per il fatto che uno dei testimoni
delle nozze era un ex ministro dell’interno, Doru Viorel Ursu. Nel frattempo
a Bruxelles procedono i lavori per esaminare la richiesta della Romania di
aderire all’Unione Europea. Non appena entrerà, avvisatemi, perché esco io.
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