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di Mina
Sotto le volte di Santa Maria delle Grazie a Milano le terzine del quinto
canto sono risuonate, ieri sera, con la loro eterna potenza. Paolo e
Francesca sono rinati.
Accade da alcuni giorni, a Milano. Ed è miracolo. Vittorio Sermonti, che è
appassionato studioso di Dante, ha iniziato lunedì la lettura integrale dei
34 canti dell’Inferno. Che continuerà per cinque giorni alla settimana fino
alla fine di ottobre. Il successo di pubblico è enorme, al punto che si è
dovuto provvedere ad installare altoparlanti anche sul sagrato della chiesa,
per consentire, anche a chi non è riuscito ad entrare, di ascoltare Dante.
Nella Milano distratta e sempre di corsa si riaccende il fiore della poesia.
Le luci si abbassano, mentre il silenzio si impone, non per forza, ma come
necessario grembo che permette di accogliere ogni frase. Si rinnovano
l’incanto e la commozione di essere vicini, e quasi partecipi, della
perfezione.
Accade il miracolo che tocca un angolo nascosto del cuore. Quell’angolo
incrostato, ricoperto di badilate di sporcizia mediatica che emanano da ogni
dove e che attuano una costante opera di cerebrolesione, non è morto.
Riprende vita quando riaccade un contatto con la bellezza. Dice Sermonti:
“Dante si rivolge all’interezza della persona e in ognuno suscita delle
percezioni e attiva delle elaborazioni mentali e affettive strepitose. Il
poeta si rivolge sempre ad uno e uno solo”. E Dante, che raggiunge e
sommuove quell’angolo del cuore, diventa lui stesso la nostra guida che ci
accompagna “a riveder le stelle”, a ritrovare “la diritta via”, ad andare
oltre.
E dopo un’ora così, dopo l’esperienza del tempo che si è trasformato in
incanto, tutto si scioglie. La gente esce e tutti si mettono a parlare, con
più calma, cambiati da quella “dolcezza al core, che ‘ntender no la può chi
no la prova”.
Del resto siamo tutti impastati della stessa condizione dantesca. Spesso
smarriti, inabissati in una selva di paure, desiderosi di riemergere verso
la luce.
Ascoltarlo significa non
solo comprenderlo, ma farsi “comprendere” da ciò che lui ci dice.
E questa materia particolare, che è Dante, salta fuori quando meno te
l’aspetti. Come diceva Riccardo Muti: “I ricordi liceali fanno sì che di
continuo terzine emergano alla mia memoria, spesso soccorrendomi a mo’ di
presagi”.
La scuola, nonostante tutto, continua a proporlo. Anzi, ad imporlo o
addirittura ad infliggerlo come un dovere. Le sue parole, svuotate di tutta
la loro forza perché ridotte al rango di pedaggio da pagare per ottenere un
voto, restano solo parole. Ed è probabilmente per questo che Dante viene
rifiutato o non capito. Forse c’è bisogno di aver percorso i sentieri della
vita vissuta, perché tutti i livelli dell’esperienza umana che lui ci
comunica ci possano raggiungere come un fatto reale. Per cercare, con lui,
“l’amor che muove il sole e l’altre stelle”.
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