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di Mina
“Tutta la filosofia è la nostalgia di tornare a casa”. Meglio
ancora se non si parte. Ma la voglia di conquista, la necessità,
l’ineluttabilità di un destino amaro ti spingono via e spesso tutta la vita
trascorre nei preparativi per il ritorno. Beati quelli che capiscono subito
che “ogni posto è sempre qui”. Che casa siamo noi e che il fondale può
essere rassicurante soltanto perché illusoriamente nasconde pericoli che
crediamo di conoscere e controllare.
C’è sempre un po’ di Ulisse in tutti gli italiani. Dell’Ulisse che
gira e rigira, ma vuole tornare a casa e colloca la sua massima aspirazione
in un focolare dove c’è una donna che aspetta e un lettone scavato dentro un
tronco d’ulivo.
La nostra scelta è per la stabilità, per la casa immutabile. Lo
confermano le statistiche e quelle ricerche del Censis che periodicamente ci
fotografano persino nei dettagli più insignificanti. L’ultima, che si occupa
della “coesione urbana e territoriale”, ci dipinge come un popolo che sta
legato alle proprie radici. Quelle fisiche, s’intende. Negli ultimi dieci
anni l’80 % degli italiani non ha mai cambiato residenza rispetto al luogo
della nascita e il 60 % di coloro che han traslocato è rimasto nello stesso
comune. Chissenefrega, diranno i miei piccoli lettori ... in effetti ... Va
beh, comunque potrebbe essere che questa voglia di radici non abbia nulla di
epico e che la ricerca di stabilità risponda solo alle necessità di
vicinanza rispetto al luogo di lavoro. Forse è sempre stato così; e difatti
anche l’“ideale dell’ostrica” era determinato solo da rigide esigenze
economiche.
Fatto sta che restiamo abbarbicati al pavimento della nostra stessa
casa, se non addirittura alle gonne della mamma, mentre fuori di noi tutto
si muove e dal Sud del mondo c’è chi arriva per cercare di sedersi alla
nostra tavola. Ma noi preferiamo star seduti sempre e solo in quell’unico
caffè, mentre “tutta la città gira intorno a noi”.
Siamo fatti così. Per ogni maxi-esodo da week-end estivo c’è sempre
un controesodo. E le file incolonnate dei “vacanzieri” (ma da quest’orrore
linguistico non si può tornare ad un più piano “turisti”?) sembrano
ingrossarsi soprattutto al momento del rientro, ovviamente “intelligente”.
Abbiamo nel DNA il pressappochismo e la cialtroneria di Pinocchio ma,
proprio come lui, alla fine vogliamo la casa con la fatina. Dopo ogni genere
di traversie, per ciascuno di noi il “sugo della storia” è sempre quello:
una casa e un impiego. Possiamo anche far follie e aspirare a ruoli e
potentati, ma quando passa l’ora dell’onnipotenza, quando la realtà ci torce
il collo e quando, finalmente, riusciamo a mettere insieme un motivo
credibile, una storia possibilmente eroica da raccontare agli amici corriamo
a casa, dove il guerriero si potrà riposare sicuro che la sua gente non lo
pugnalerà alle spalle. Ma anche questa è una bugia.
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