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di Mina
Nuovi dogmi costringono ad un
assenso incondizionato. Se non ti schieri per la sopravvivenza naturale di
tutte le specie viventi, dai mammuth al plancton, passando attraverso gli
ermellini, non sei degno del consesso umano. E se ti scappa di bocca un
beneaugurante «crepi il lupo», ti senti addosso uno sguardo di disdegno,
come se avessi mandato alla malora un qualsiasi essere umano.
Li sento già i nostri cari ecologisti di maniera. Dopo averci riempito la
testa per settimane sull’abolizione della servitù coattiva di elettrodotto
(!), paventando sequele di cadaveri devastati dall’elettrosmog, adesso si
profila un’altra battaglia. E se non se ne fossero accorti, ecco qui lo
spunto. Arriva da un centro di ricerca giapponese la prima pianta di caffè
geneticamente modificata, in grado di produrre chicchi con una bassa
quantità di caffeina. Queste piantine sarebbero un’alternativa assai più
economica al costoso processo industriale per ottenere il caffè
decaffeinato. Partendo da una sempre maggiore richiesta di decaffeinato, gli
scienziati hanno messo a punto una tecnica che interferisce con l’attività
dei geni che nella pianta controllano la produzione della caffeina,
arrivando ad una diminuzione del 70 per cento. Che bello!
E invece so che, se non sono già andati al mare, si leveranno le solite urla
scomposte di chi vede in tutto questo un orrore, un abuso dell’uomo che
altera tutto ciò che gli passa tra le mani. Ci hanno terrorizzato,
spacciando gli Ogm come schifezze cancerogene e coniando definizioni come «i
cibi di Frankenstein». Ma poi mangiano, come tutti del resto, i fragoloni
del supermercato, che in natura non esistono. E che sono frutto di un
incrocio francese tra le fragole selvatiche del Cile e del Canada. L’eco
degli irrazionali «al lupo, al lupo!» contro gli Ogm è giunto fin nello
Zambia, dove lo scorso anno il presidente Mwanawasa ha rifiutato gli aiuti
alimentari americani, perché il mais biotech avrebbe danneggiato la salute
del suo popolo. Che sentitamente ringrazia, preferendo morire di fame a
milioni piuttosto che mangiare le schifezze elargite dagli americani, i
quali, invece, mangiano e campano ottimamente. E cioè: meglio essere a
rischio di morte per carestia, ma belli sani, piuttosto che sazi e
dipendenti dagli yankees.
Gli ambientalisti che vorrebbero tornare all’agricoltura di una volta,
ritenuta sana e biologica, dovrebbero accettare la conseguente necessità di
devastare di più l’ambiente. Sì, perché in un secolo la produzione di mais
in Italia si è moltiplicata per cinque, pur essendosi dimezzata la
superficie coltivata.
La scienza e la tecnica sono straordinari alleati della natura. Prova ne è
il fatto che noi occidentali non siamo mai stati così sani come in questa
società e che il cibo non è mai stato controllato igienicamente come adesso.
Basterebbe volerlo, e questo privilegio potrebbe estendersi davvero a tutta
l’umanità.
Per questo ha ragione il premio Nobel Norman Borlaug, un vero, grande
ambientalista, quando
dice che l’opposizione
ecologista ai prodotti transgenici è snob, conservatrice e soprattutto fatta
da gente con la pancia piena e che non ha mai sofferto la fame.
Va bene, mi faccio una tazza di caffè decaffeinato. Alla mia e alla loro
salute.
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