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di Mina
Continuiamo a farci del male.
E mentre lo dico, non so neppure io se si tratti di una semplice
constatazione all’indicativo oppure di un feroce consiglio al congiuntivo.
Sì, perché certe notizie non danno mai la sicurezza di essere di fronte ad
un fatto. Il dito monitorio dell’Organizzazione mondiale della Sanità ci
avverte che nel 2020 la depressione sarà la seconda tra tutte le malattie
che generano disabilità e che gravano, coi loro costi diretti e indiretti,
sulla società. E allora che fare? Dobbiamo metterci d’impegno a
stropicciarci gli occhi e a macerarci il cuore da qui fino alla fatidica
data, per dimostrare che l’OMS non può sbagliare? Oppure cercare di riderci
sopra per tutte le martellate che continuiamo a volerci infliggere?
Scorrendo con più attenzione il rapporto dell’OMS ci si accorge che il
taglio secondo cui viene affrontata la questione è rigorosamente economico.
Certo. Perché mai l’OMS dovrebbe preoccuparsi dei depressi, se non per i
costi che i loro disagi riversano sull’intera collettività? Giorni
lavorativi persi, ridotta quantità e qualità di produzione sono gli esiti
nefasti del “male oscuro”, tant’è che sono più auspicabili l’ipertensione,
l’artrite e il diabete, mali che, almeno, fanno perdere meno ore di lavoro.
Ma i dati dell’OMS, che toccano il più ampio tema delle malattie mentali, ci
danno un’interessante chiave di lettura anche per i massacri familiari e per
le cosiddette tragedie della follia. Anzi, ci rassicurano, visto che gli
omicidi sono ancora assai pochi, se si considera che i disturbi mentali
colpiscono tra il 20 e il 25% delle popolazioni in età superiore ai 18 anni
nel corso di un anno. E, guardando l’intero arco della vita, la frequenza
dei disturbi psichici riguarda il 41% degli uomini e il 30% delle donne. Eh
sì! Adesso capisco tutto. Siamo tutti matti, e matti duri. E dopo questa
fondamentale notizia scientifica, non sarà più il caso di stupirsi se
l’elenco delle schifezze e delle follie umane continua ogni giorno ad
arricchirsi di nuove chicche.
L’ennesina indagine del Censis rincara la dose, rivelandoci che il 26,4 %
degli italiani si dichiara stressato e infelice. A parte il fatto che di
certo gli indagatori non sono andati ad interrogare mia zia Piera, donna
notoriamente serena e solare, mi consolo all’idea che per così tanti
depressi c’è pronto un esercito di altri italiani (sempre conteggiati al
millesimo da altri iperprecisi sondaggi) che si dedicano anima e corpo al
volontariato. E così abbiamo sistemato i conti: un quarto di infelici, un
quarto di samaritani che aiutano i depressi e gli altri che se ne fregano di
traversie psichiche e di buonismi, accontentandosi di quel che passa la tv.
L’unico ambito in cui la depressione ha un suo valore misurabile è quello
dell’andamento economico. In realtà è la psicologia che deprime l’uomo, che
lo de-moralizza, rinnegandone le ragioni umane, morali o immorali, per cui
agisce. Se un fatto è deprimente, è anche demoralizzante. Per analogia, un
depresso è, di fatto, un de-moralizzato. Uno che non riconosce più né
origine né senso di sé. Uno che potrebbe dire, secondo la provocazione di
Andy Warhol, “io sono solo la mia superficie”.
Un dubbio. E se l’OMS avesse ragione? Sarebbe confermata l’intuizione di
Teilhard de Chardin, che scriveva:
“Il pericolo maggiore che
possa temere l’umanità oggi non è una catastrofe stellare, non è né la fame
né la peste, è invece quella malattia spirituale, la più terribile, perché
il più direttamente umano dei flagelli, che è la perdita del gusto di
vivere”.
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