Società

L’incubo siccità:

Al capezzale del padre Po
 

 

di Mina



E mi dicevano di mettere le spalle al Monviso per riconoscere se Cremona fosse sulla riva destra o su quella sinistra del Po. Ma il Monviso non lo vedevo e in più, se dovevo fare riferimento alla direzione della corrente di quell’acqua mai limpida, proprio non ci riuscivo, perché i mulinelli ampi ne disorganizzavano l’andare.
Era il tempo in cui ancora non sapevo se il Po si scrivesse con l’accento, con l’apostrofo o senza niente o se fossero più numerosi gli affluenti di destra o di sinistra. Me lo gustavo perché era gonfio e potente e ne avevo paura perché era capace di tragedie per qualcuno che vi si buttava, indipendentemente dall’intenzione.


Lo penso. Sempre. E mi si gonfia il cuore con la soggezione e la confidenza che si dedicano ad un genitore primordiale. Padre mio e di tanti uomini amati, con la nebbia negli occhi e col cuore che sporge dal taschino per dimostrare forza e disponibilità. E amo quel film rapidissimo di ricordi, che mi accieca ogni volta che lo scavalco su un ponte dell’autostrada. Lo saluto e intanto sento il caldo di un’estate arida che lascia liberi i suoi spiaggioni dove mi stendo e “puccio” le punte dei piedi, mentre i ragazzi palleggiano e si pavoneggiano e i canottieri poderosi scivolano con il ritmo di un remo e di un respiro.
E verso sera un baracchino mi abbraccia con il profumo dell’ambula fritta e gli schiamazzi di qualcuno che lì si diverte. E molte volte attraverso il ponte di ferro con la macchina e i miei genitori per andare “sul piacentino”, perché il mio papà va a lavorare e la mia mamma compra un pane che a Cremona non c’è.
È come andare lontano, perché il ponte di ferro è lungo un chilometro e ancora oggi misuro le distanze da percorrere in multipli del ponte. Da Lugano a Cremona ci saranno circa duecento ponti.


Mi hanno detto che il Po è asciutto e che è una disgrazia, forse ambientale, probabilmente economica. Non è colpa sua, ne sono sicura. Gli andrò a parlare da vicino, davanti alla Baldesio. Lo implorerò di non morire, di arrangiarsi tra i sui curvoni e bagnare un po’ di terra e generare ancora figli e lasciarsi trafiggere da canoe veloci e da chiatte lente. Mi ascolterà e mi riconoscerà, figlia lontana con la memoria di ferro. Sfinita dalle preghiere, lo guarderò di nuovo schiaffeggiare potente i piloni del ponte.
Almeno a Cremona sarà come sempre, a sommergere qualche pioppo fin quasi alla cima, d’inverno, quando lì intorno si mangia il cotechino. Alla mia età non so ancora se c’è il Monviso o se è possibile rivolgergli le spalle, per poter quindi imparare un po’ di geografia del Po. Ma, anche cieca, riconoscerei il suo scorrere vicino e mi sentirei sicura di poter toccare Cremona, con i suoi ciottoli e gli uomini amati con la nebbia negli occhi.
 

 

Socie: «L’incubo siccità. Al capezzale del padre Po» - di Mina, La Stampa, Sabato 31 maggio 2003

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