Società

«Perchè Sanremo non piace più»
 

 
di Mina



La lotta era tra il «Grande fratello» e «Sanremo». E non è stato un pari, ma un bel 5 a 0.

Le cerimonie non mi sono mai piaciute. Le cerimonie fini a se stesse men che meno. Quindi tute e magliette contro paillettes e vestiti firmati. Parole in libertà contro copioncini pallidi e tremolanti. E volgari. La necessità di citare la fellatio del buon Clinton speravo che non facesse più ridere nessuno e, soprattutto, che non venisse scelta come sicura (?) gag da utilizzare in un contesto che non c’entra niente. E dunque complimenti a Montesano, che d’ora in poi potrà anche fregiarsi del merito di avere sdoganato la parola «pompino» in tv. Complimenti vivissimi! Spero solo che mia zia, che ha già qualche capello bianco, non l’abbia visto, anzi, sentito, evitando così un più fulmineo, ulteriore incanutimento.

Ho chiesto a una signora, dalla modista, se avesse visto Sanremo. Risposta: «Son quindici anni che non lo guardo». Un ragazzo che passava si è messo addirittura a ridere: «Ma la musica non è lì». Oddio, sì, non tutta. In effetti non c’erano De Gregori, Dalla, Celentano, Paolo Conte, Vasco Rossi, Guccini, Fossati, Ligabue, Baglioni, Renato Zero, e neppure qualche giovane sconosciuto che ha ancora il coraggio di osare, di inventare, di proporre qualcosa di decente, al di là dei soliti giri e degli arrangiamenti clonati.

Ma qualcosa di buono e anche di molto buono l’ho sentito. Peccato che servirà a pochissimo. Se è vero, come è vero, che oggi con 50 mila dischi venduti ti danno il disco d’oro, il ricavato di un «successone così grande» non permetterà neppure di pagare le spese: sala di incisione, tecnici, musicisti, copertine, vestiti, truccatori, parrucchieri, alberghi, accompagnatori, guardie del corpo, eccetera. A proposito: le guardie del corpo si vedono solo a Sanremo. Proprio come se fosse un gioco, più che una necessità: ma sì, divertiamoci almeno qui a fare i veri divi, come in America. Il resto dell’anno nessuno di quelli «guardati» viene minimamente notato e può andare al supermercato nella più grande tranquillità, se non indifferenza.

La condanna in cui Sanremone ci carcera consiste nel fatto che se ne debba parlare per forza. Ed io per prima sono costretta a cadere nel tranello che ogni anno si ripresenta come un agguato mortale. Credo sia solo questione di qualche anno. Se esiste una logica nei numeri, visti gli ascolti, basterà aspettare poche altre edizioni sanremesi per certificare che il Festival susciterà interesse solo in coloro che sono coinvolti a livello professionale con il mondo della musica. Sarà un evento di settore, come un congresso medico. Lo vedranno solo i discografici, i musicisti, gli orchestrali, i cantanti, i disc-jockey, i presentatori, gli attori, la gente dello spettacolo in genere, con tutti i loro parenti. E vi assicuro che sono una folla: all’incirca quelli che lo vedono ora.

C'è da scommetterci che anche l’anno prossimo il Pippo nazionale, sempre più autorevole, sarà ancora su un palcoscenico sempre più vuoto di musica e sempre più specchietto per le allodole che non ci sono più. Alle 2 di notte ci sarà l'ennesimo Magalli a fare da tappabuchi al «Dopofestival» per sanare ogni emergenza di palinsesto.

Troveranno qualche altra vecchia gloria da riciclare per l’occasione, ci metteranno un pizzico di trasgressione formato famiglia, una qualsiasi belloccia americana, come la splendida accavallatrice, anzi, scavallatrice di gambe di quest’anno, un gruppo di sportivi con intenzioni benefiche, tanto per convincerci che anche la bontà trova il suo spazio dentro il pancione festivaliero. Una bella shakerata e anche l'anno prossimo il cocktail sarà servito. Come gli ultimi samurai che continuavano a combattere, senza accettare che la guerra fosse finita.
 
 

Società: «Perchè Sanremo non piace più» - di Mina, La Stampa, Sabato 8 Marzo 2003

Click qui per tornare indietro