Società
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«Il lento
tramonto delle belle ciglia»
Il trucco, quando non è
un raggiro, un imbroglio, un artifizio, un espediente, è una grande
allegria, un bel giocone, un modo per credersi esteticamente
migliorati, e non è poco. Una forma di autoconvincimento, insomma, per
manipolare la propria anima, prima ancora che i lineamenti del volto.
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di Mina
Era appena uscito
dall'appartamento dell'amico con cui aveva intrattenuto un legame che
era finalmente andato oltre i soliti «Come stai? Cosa bevi? Uff, che
tempaccio!». Stava aprendo il portone, quando si accorge di aver
dimenticato gli occhiali di sopra. Rifà le scale, suona il campanello.
Gli apre un ragazzo piccolo, con gli occhiali spessi, una carnagione
pallida e una pettinatura strana. Lui chiede scusa, convinto di aver
sbagliato piano e, mentre sale le scale, sente una vocina divertita
che gli dice: «Ma sono io! Non mi riconosci?». Era lui, sì, ma senza
fondotinta, senza lenti a contatto, senza scarpe rialzate e senza la
pettinatura aggiustata per l'occasione.
Ancora adesso, dopo tanti anni, raccontano questo fatterello ridendo e
prendendosi affettuosamente in giro. Potrei anche dirvi i nomi, ma non
lo farò neppure sotto la minaccia delle armi.
Questo tipo di «incidente» succede più spesso di quanto non si possa
immaginare. Una mia amica, notissima, quando deve ricevere qualche
fornitore o comunque gente che non l'ha mai vista di persona, non si
trucca, si raccoglie i capelli nello chignon, si mette una
vestaglietta dimessa che tiene per quelle occasioni e dice di essere
la madre. E tutti ci credono. Tutti ci cascano. Il trucco, quando non
è un raggiro, un imbroglio, un artifizio, un espediente, è una grande
allegria, un bel giocone, un modo per credersi esteticamente
migliorati, e non è poco. Una forma di autoconvincimento, insomma, per
manipolare la propria anima, prima ancora che i lineamenti del volto.
E allora, visto che bisogna celebrare e ricordare tutto, dai lager che
rispuntano nell'immaginario collettivo nel «giorno della memoria»,
fino al 250° anniversario del British Museum e della geniale scoperta
che il succo di limone previene l'insorgere dello scorbuto,
becchiamoci anche i 90 anni del rimmel. Non ci bastano più nemmeno le
cifre tonde per correr dietro alla voglia di festeggiare. E visto che
non si sa a quale sorte saremo destinati nel 2013, non ci resta di
meglio che anticipare di dieci anni il centenario e dimenticare venti
di guerra ed euro impazzito, per tessere il panegirico del miracoloso
rimedio per le ciglia sottili e diradate.
Si levino osanna al rimmel, soprattutto per il fatto che anche sul
piccolo correttore ciliare incombe la mannaia del crollo delle
certezze. Ormai destinato quasi solo al rifacimento dell'occhio delle
ragazzine di provincia che ne fanno uso in quantità industriale, deve
soccombere di fronte all'avanzare delle pratiche tipiche di un'epoca
tecnologico-chirurgizzata, in cui risulta molto più comodo un
intervento risolutore con trapianti di cespugli di ciglia permanenti.
E il moltiplicarsi di altri accorgimenti muliebri, come i tatuaggi o
altre improbabili pratiche estetiche, stanno relegando il rimmel al
misero ruolo di reperto d'altri tempi. In compenso, però, ci pensano i
maschi ad usarlo, spesso di nascosto, per marcare uno sguardo che si
spera più profondo e indagatore.
Il vecchio adagio, secondo cui «la bellezza è negli occhi di chi
guarda» sottolineava il valore soggettivo dell'esperienza estetica.
Diciamo grazie al rimmel se da 90 anni ha consentito di riferire la
bellezza anche all'organo della vista. A patto di non appesantire le
ciglia al punto di ottenebrare ogni eventuale bellezza che stia anche
oltre il nostro sguardo.
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