Società
|
Continuo squillo di cellulari e il tono di voce elevato
«Aggiorniamo
il "Galateo"»
La direzione delle Ferrovie dello Stato, ad esempio, è ultimamente
inondata di lamentele di viaggiatori che non sopportano più il
continuo squillo di cellulari e il tono di voce elevato da parte dei
garruli conversatori.
|
|
Mina
Trenta brevi capitoli con altrettante regole d'oro, che hanno
attraversato cinque secoli. Quasi nessuno li avrà letti, anche se
tutti, più o meno, ne applicano inconsapevolmente le indicazioni
pratiche. Di quel libro molti conoscono solo il titolo e, forse,
vagamente il nome dell'autore. E dunque ben venga il cinquecentesimo
anniversario della nascita di Monsignor Giovanni Della Casa, se
non altro per il fatto che ci dà la possibilità di riconsiderare
comportamenti e modi di fare che, nonostante tutto, non perdono
attualità.
Il «Galateo» di allora non è solo il complesso delle regole da seguire
per comportarsi convenientemente e dignitosamente nei rapporti
sociali. È molto di più: è un dialogo con un immaginario giovane
inesperto che deve ricevere adeguate indicazioni di comportamento da
un vecchio, illetterato ma saggio; è un interessante spaccato dei
costumi consigliati nel Cinquecento ed anche un'occasione per
riflettere sull'oggi con il metro di cinque secoli fa. Il nostro
monsignore, quasi cinquantenne, era caduto in disgrazia presso
l'allora pontefice Giulio III. Per questo si era ritirato a vita
privata in una villa del Trevigiano, per dedicarsi ai suoi studi. Fu
il vescovo di Sessa, Galeazzo Florimonte, a suggerirgli di scrivere un
trattato sulla «buona creanza». E Della Casa lo volle ricordare nel
titolo dell'opera, che non è altro che la forma latinizzata di
Galeazzo.
Non si creda che il «Galateo» sia solo un'arida elencazione di
precetti. Della Casa è troppo saggio per non considerare che
«l'eleganza del comportamento è conseguenza di un sereno dominio delle
inclinazioni naturali». Sostanza, quindi, prima ancora che forma. Come
si coglie bene nel cap. 23, dove si spiega che «prima di parlare
bisogna sapere che cosa dire» e che solo la piena consapevolezza del
contenuto permette di usare la forma adeguata per esporre.
E l'acqua passata sotto i ponti di questi cinque secoli non cambia
sostanzialmente la questione. Siamo tutti dentro un contesto di
sguaiatezza caciarona, di cafonaggine elevata a sistema. Basta
riflettere con attenzione sui messaggi, anche figurati e gestuali, che
ci provengono quotidianamente, soprattutto dai media. La direzione
delle Ferrovie dello Stato, ad esempio, è ultimamente inondata di
lamentele di viaggiatori che non sopportano più il continuo squillo di
cellulari e il tono di voce elevato da parte dei garruli conversatori.
E infatti ogni forma di maleducazione parte da un esasperato egotismo,
cioè dall'incapacità di accorgerci che non viviamo da soli nella
giungla del nostro anarchismo libertario, in cui sfogare il peggio di
noi. Della Casa scriveva: «Convien temperare ed ordinare i
tuoi modi non secondo il tuo arbitrio, ma secondo il piacer di coloro
co' quali tu usi»: principio che, se fosse realmente preso sul
serio, cambierebbe drasticamente gran parte delle nostre relazioni
sociali.
Una sola osservazione critica sul trattato cinquecentesco. Della Casa
non aveva previsto pene o contrappassi per i maleducati. Sarebbe il
caso di aggiornare il «Galateo» in questo senso. Parli ad alta voce?
Ti si inceppa la lingua per tre ore. Sputi per terra? Ti viene
un'emorragia cronica. Interrompi un altro mentre parla? Ti si tronca
una falange. Ma qui mi fermo. In fondo si parlava solo di galateo.
|