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Mina
Mi piacerebbe osservare l’uomo che, quando si
risveglia dal sonno della normalità, ne inventa una più del diavolo,
cercare di capire quali strani tragitti percorre la connessione che va
dal suo cervello al cuore o viceversa, scoprire la composizione
chimica di quella pappa di follia che riempie i suoi capillari. Lo
vorrei vedere, anche solo per rendermi conto che magari ha la stessa
faccia di un buon curato di campagna, che nasconde sotto la sua
bonarietà il ghigno demoniaco dell’assurdo. O magari, ed è più
probabile, è un «fine umorista» sotto mentite spoglie.
Ad esempio, un bel pomeriggio a parlare del più o del meno (oddio,
forse un pomeriggio è troppo; basterebbe anche solo un tè con due
pasticcini) lo passerei con il direttore di «New Scientist», quella
rivista inglese, solitamente definita «autorevole», che da questa
settimana lancia un concorso con un premio da delirio. Tutti i lettori
possono inviare risposte che diano spiegazioni scientifiche su
fenomeni della vita quotidiana. Al vincitore verrà regalata la
speranza di una possibile eternità, attraverso l’ibernazione. Dopo la
morte, il corpo del vincitore verrà preso in consegna dal «Cryonics
Institute of Michigan» che provvederà alla pratica ibernatoria,
iniettando nelle vene alcune sostanze che impediranno la coagulazione
del sangue; poi immergeranno il corpo nell’azoto liquido, fino a
portarlo alla temperatura di 79 gradi sotto zero e poi fino a meno
196.
Sarà stato troppo semplice pensare a un premio più comune, che so, ad
un viaggio a Baghdad, a un completo da sci, a un abbonamento annuale
al Covent Garden, a una Ferrari rosa, a una notte con Benicio Del
Toro. No. Bisognava proprio pensare ai magazzini del Michigan, dove
sono già conservati 41 corpi di altrettanti defunti, tra cui, si dice,
anche quello di Walt Disney, in attesa di essere riportati in vita.
Cambiano i metodi, ma siamo rimasti gli stessi inguaribili presuntuosi
dell’antico Egitto.
Non vedo alcuna differenza tra la smania imbalsamatoria dei faraoni,
la ricerca spasmodica, fatta tra alambicchi e provette, della pietra
filosofale di medievale memoria, e questa forma postmoderna di ricerca
dell’immortalità. Cambia solo, forse, il metodo. Ma la fiduciosa
attesa che il «progresso» scientifico compia il miracolo di scoprire
il definitivo rimedio alla morte, in fondo, non ci fa essere più
progrediti.
Le Wanne Marchi si ripresentano sempre, anche se hanno le mascherine o
i guanti sterili. Mi sembra l’ennesima truffa, l’ennesima speranziella
per chi non accetta la condizione umana e la sua stupenda
imperfezione. E poi, risvegliarsi tra mille anni... Per che cosa? Per
ritrovarci soli e sperduti in un mondo che non riconosceremmo come
nostro? Siamo aggrovigliati nella contraddizione.
Tutto, anche la negazione della ragione, può servire a consolare i
figli sperduti della cosiddetta «cultura della ragione».
Lo dico, con la speranza di essere smentita.
Tra mille anni.
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