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Mina
Dopo il primo momento di enorme sbigottimento,
come se fossero arrivati i marziani, capimmo subito di che cosa si
trattava. Era proprio quello di cui avevamo bisogno noi, ragazzi di
quegli anni: una sberla, uno stravolgimento, una scossa violenta e
benefica. E il fatto che i nostri genitori lo detestassero era un
motivo in più per sapere che eravamo nel giusto, che non potevamo che
amarlo, il rock.
Tutto successe con l’arrivo di un film,
«Gangster cerca moglie»,
nel quale c’erano tutti i nuovi rockisti americani e inglesi. Tutti
tranne lui, tranne Elvis. Elvis Aaron Presley, che Dio ti
benedica!
Sei arrivato quando noi eravamo senza musica, senza la nostra musica.
Non ci riconoscevamo in niente di quello che le, anzi, la radio ci
mandava. Solo pochi fortunati amanti del jazz o di Sinatra
riuscivano a sfuggire alla tentata sopraffazione dei claudiovilli
dell’epoca. E alle nostre festine di adolescenti l’unico disco di
rottura era quel
«Non illuderti»
di Don Marino Barreto junior che, pur se lento e tradizionale,
era cantato con quella voce roca, indecente, quasi sgraziata, così
anticonvenzionale che ci mandava in brodo di giuggiole.
Avevamo le gonne scozzesi a pieghe e i golfini twin a tinte tenui:
sotto maglina girocollo con manica corta e sopra cardiganino a manica
lunga. I nostri reggiseni avevano la forma, e quasi la consistenza,
dei paraurti bombati e pieni di cromature delle mastodontiche Cadillac,
Packard, Studebaker a dodici cilindri. I ragazzi in giacca e cravatta,
perché allora non c’era altro modo di vestirsi. Non esistevano i
giacconi: tutti con il paletot, a qualsiasi età, dai due ai novant'anni.
Che Dio ti benedica Elvis Aaron Presley, che ci hai anche cambiato il
guardaroba!
E ci hai fatto sentire squadra, tutti dalla stessa parte: dalla parte
del rock and roll.
Grande, forte e massiccio, deflagrante, timido, spudorato, bono,
inquietante.
Tanto inquietante, «Elvis the pelvis», da indurre ogni presentatore di
ogni show televisivo di cui fossi ospite a precisare che «Elvis canta
così, si muove così, ma in fondo è un bravo ragazzo, vuole tanto bene
alla mamma e fa tanta beneficenza».
Ma a noi non importava affatto se eri o non eri un bravo ragazzo.
Potevi essere tranquillamente per male.
Quello che ci interessava di te era che cosa cantavi e,
soprattutto, come.
Ti sei inventato tutto, che Dio ti benedica! Hai aperto un varco dal
quale sono potuti nascere e prosperare tutti, ma proprio tutti i
cantanti e i gruppi che, senza di te, sarebbero ancora lì a cantare
boleros. Tu sei in tutta la musica rock di oggi e di domani. Una
divinità.
Venivi da East Tupelo, una cittadina americana così così, in
uno stato dal nome leggendario, Mississippi, che avrebbe
continuato a inglobarla come un povero naufrago nella pancia della
balena, se non ci fossi nato tu, un re che avrebbe poi incarnato la
leggenda e al quale, sotto i pantaloni alla caviglia, sotto le giacche
spioventi, sotto i completi incrostati di lustrini, sotto il primo
ciuffo si sarebbero riconosciuti i connotati del mito. Sì, venivi da
East Tupelo, non dall'Olimpo.
E da East Tupelo sei sceso tra noi, eroe cromato, metallico, carnale,
vergognosamente imitabile, glorioso capostipite. Ancora oggi, amico
mio, sembri guardare tutto con occhi buoni. Tu, mito e monumento della
cultura dell'espressionismo contemporaneo. Che Dio ti benedica Elvis
Aaron Presley!
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