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Mina
Ne sento parlare come se fosse un «piccolo mondo antico»
in cerca di un'identità perduta.
La scuola come l'abbiamo conosciuta non esiste più.
E neppure le parole sono più le stesse. Si disquisisce di
crediti e di debiti, come se si stesse stilando un
rendiconto finanziario. Si utilizza uno scolastichese
abbrutito, fatto di sigle, di barbarismi burocratichesi,
salvo poi bandire come razzistica la qualifica di bidello,
riscattata dal più rassicurante «collaboratore scolastico».
Anche
l'esame di maturità non esiste più.
Almeno a parole. Adesso deve essere chiamato «esami di
Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione
secondaria superiore». E nell'abissale distanza tra lo
scolastichese dell'istituzione e l'idioma
simil-televisivo-barbarico degli studenti, affoga quella che
pochi pazzi idealisti si ostinano ancora a definire la «culla
della cultura».
E così, nei giorni più appiccicosi dell'anno, truppe di
adolescenti si avventurano a sostenere una prova che non ha
più la caratteristica di spauracchio o di ossessione
ricorrente nei sogni, fino a decenni dopo. Presidi zelanti
si premurano di far installare rilevatori di micro-onde nei
bagni della scuola per scovare telefonini abusivi. La notte
prima dell'esame le buste contenenti le prove sono ancora
conservate nelle casseforti dei carabinieri. Ma tutto questo
rigorismo da giudizio divino va leggermente a farsi fottere,
quando poi la traduzione di Cicerone o le tracce dei temi te
le ritrovi in Internet qualche decina di minuti dopo l'avvio
dell'esame. O quando due studenti su tre ammettono di essere
stati aiutati dai propri insegnanti a svolgere le prime due
prove scritte.
In
questo scenario da finto psicodramma, resta però la totale
scomparsa dello studente da valutare, dissolto in un
complicatissimo sistema contabile.
Mi dicono alcuni insegnanti che ormai gli scrutini si fanno
con la calcolatrice. La valutazione della persona è ridotta
ad un processo di addizioni aritmetiche, illudendosi che l'economicità
dei numeri corrisponda all'oggettività. E lunedì prossimo
gli studenti saranno alle prese con la terza prova scritta,
a base di quiz. Una specie di parodia scolastica dei test
psicologici da settimanale rosa o dei quiz televisivi. Dove
impera un nozionismo da bigino. L'intelligenza è una qualità
non richiesta. I ragazzi sono stati ridotti a bottiglie da
riempire di qualche notizia, a contenitori che devono solo
riesprimere banalmente ciò che altri hanno già detto e
scritto. E nel caos generale non si sa più se si debbano
richiedere conoscenze o competenze.
Credo che dopo questa amnistia generale, con il solito 98%
di promossi, il vero esame spetti al ministro o al
Parlamento, che dovranno mettere mano alla riforma della
scuola. Anche se, come al solito, la vera riforma sarà
fatta sul campo da quei docenti appassionati che sanno tirar
fuori dai loro studenti il meglio della loro intelligenza.
Perché, se ancora non si fosse capito, il
processo della conoscenza è più simile alla dinamica
dell'innamoramento che a quella dei tabulati e dei
rendiconti economici.
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