Società

SCOMMESSE E ATTENTATI

La schedina sui cadaveri

Mina



Ci risiamo. Ma non ce n’era bisogno. La conferma che siamo diventati tutti pazzi duri non aveva bisogno di quest’altra follia. L’elenco delle schifezze umane si arricchisce, dunque, di questa chicca.
Siamo arrivati addirittura alle scommesse sull’obiettivo del prossimo attacco di un palestinese suicida. La polizia israeliana sta infatti indagando su un giro di scommesse clandestine a Kiryat Malachi, dove vengono distribuiti bollettini per le macabre scommesse. L’ipotesi di un attacco terroristico viene data a 1,5 a uno per Gerusalemme e a 17 a uno, invece, per Eilat, la località balneare sul Mar Rosso dove non si sono registrati episodi di violenza dall’inizio della nuova Intifada. La scommessa-base è di 10 shekel (poco più di due euro). Così è scritto sul modulo dove viene anche precisato che si può giocare solo su attacchi di «arabi contro ebrei e non viceversa». Complimenti.


Di fronte a vicende come questa è facile la tentazione di circoscrivere questi «giocatori» nella definizione di sciacalli, di mostri. Il «mostro» ci rassicura. Rassicura noi, tranquilli cittadini che rispettano le leggi, pagano le tasse, guardano la partita e che non fanno mai niente di male. Così esorcizziamo il male, che è sempre e comunque faccenda altrui.
Non è così.
Siamo tutti complici di una catena di cedimenti, di trasgressioni, di colpe piccole e grandi. Il «mostro» siamo anche noi. Nessuno è a priori salvo o libero. Certo, di fronte a «delizie» di questo tipo, possiamo anche tentare delle analisi sociologiche, geo-politiche eccetera eccetera... «Chi non applica nuovi rimedi deve essere pronto a nuovi mali». Diceva Francesco Bacone. Ineccepibile.


Ma la verità è che bisogna essere capaci di affondare lo sguardo ben più nel profondo di quello smisurato abisso che è il cuore dell'uomo. Ben più nel profondo delle colpe che si muovono in un pantano che porta anche il nostro nome.
L'istinto del cuore umano è inclinato al male fin dall’adolescenza, non si scappa. È inutile girare la faccia e dire «io no, non c’entro».

Una delle più grandi donne del ’900, Hannah Arendt, l’aveva già capito quando scelse una formula perfetta per uno dei suoi libri più definitivi: «La banalità del male». A proposito di un gerarca nazista la Arendt osserva: «Il guaio del caso Eichmann era che uomini come lui ce n’erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali». Non certo persone stupide, ma semplicemente senza idee, senza pensiero. Persone che non pensano, che hanno accettato come un fatto ovvio il mercimonio di tutto, anche della morte. Persone che non sanno più dove stia di casa il confine tra bene e male. Persone normali, appunto.

Mina, La Stampa,  15 giugno 2002

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