Società

Torino - La Fiera del libro ...
Uno specchio per guardare l’anima

Mina


Di certo non ci saranno le indecorose chiassate contro l'Italia cui abbiamo dovuto assistere qualche mese fa a Parigi. A Torino la Fiera del libro è ancora una cosa seria. Nonostante le inevitabili passerelle dei soliti personaggi in cerca di una qualche notorietà. Forse, però, prevarrà ancora l'idea di un Lingotto trasformato in una cittadella della cultura, dove si snoccioleranno i consueti eventi cultural-mondani, poco cultural e molto mondani.


E purtroppo quell'inebriante profumo di carta stampata, concentrato oggi a Torino, farà dimenticare che, poco più in là, il 62% degli italiani non ha letto un libro nell'ultimo anno. C'è una distanza quasi incolmabile tra la vita dell'italiano medio e l'attività della lettura, piacere quasi sconosciuto ai più.


Al massimo ci si concentra sulle righe che spiegano il funzionamento di un elettrodomestico o del modello 730. E in una società utilitaristica, fondata sull'odio per tutto quello che non provoca immediata ricchezza, il libro non è un oggetto appetito. Né per passatempo, perché il tempo non c'è o si finge che non ci sia, né per studio. Ciò che viene «inflitto» dalla scuola è più che sufficiente.


E allora gli organizzatori della Fiera del libro hanno pensato ad un tema suggestivo: la lettura come forma per ritrovare il tempo. I pianificatori della cultura letteraria, in collaborazione con qualche scaltrito tecnico del gusto ed alcuni esperti di marketing, avranno pensato di promuovere un'immagine del libro legata al piacere e alla possibilità di riscoperta di un ritmo diverso del tempo.


Non so quale potrà essere il contributo portato dalla manifestazione del Lingotto alla causa della lettura. Resto inamovibile nella convinzione che il problema, più che risolversi con trovate di marketing o di maquillage, richieda
un'operazione squisitamente culturale, che passi soprattutto attraverso l'educazione ad un'attività che implica una coscienza diversa di sé, della vita, del tempo. La scuola potrebbe fare molto, se uscisse dallo schema pseudopedagogico della lettura ridotta alla sola funzione di esercizio, a compito da svolgere per il giorno dopo, a pedaggio da pagare per ottenere un voto, che poi darà diritto ad un diploma, e quindi, eventualmente e fortunosamente, ad un impiego, in attesa della pensione.


Mi fanno sorridere i piagnistei di quelli che lamentano l'infimo numero di libri che si leggono in Italia. Ho come la sensazione che siano gli stessi che ci vogliono tenere ben schiacciati e felici sotto il tallone dell'ignoranza.
Più che il ritrovamento del tempo, occorre la riscoperta del proprio io, che non si accontenta del già saputo, che ricerca un passo più alto di saggezza, che desidera attingere da chi, nel passato, ha già cercato di guardare l'anima.


E così sarà possibile ridire, assieme a Borges, che non c'è differenza tra ciò che siamo e ciò che leggiamo, tra ciò che fa parte del nostro cuore e ciò che è contenuto in quell'oggetto, sempre uguale a se stesso, che è il libro. «I miei libri (che ignorano che esisto) / sono parte di me come il mio viso / di tempie grigie e di grigi occhi ... / Suppongo che le parole essenziali / che mi esprimono stanno in quelle pagine / che mi ignorano, non in ciò che ho scritto....» (J. L. Borges).

Mina, La Stampa,  18 maggio 2002

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