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Mina
Baggio.
Roberto Baggio. Nel marasma dell’aleatorietà, esasperata
dall’enigma sull’esito del campionato, un solo punto
fermo: Baggio ai Mondiali. Una richiesta, una perorazione,
un’esigenza di sognare a cui il Trap non può sottrarsi.
Un altro voto, il mio, ad un sondaggio che, con percentuali
bulgare, unisce trasversalmente l’Italia intera.
Altro che celebrazioni unitarie del 25 aprile! Il Divin
Codino, con le sue serpentine e i suoi gol impossibili
rubati alla logica, è l’unico che può unire destra e
sinistra, tifoserie del Nord e del Sud, in una botta di
amore per il calcio e per la maglia azzurra. Contro l’idea
di un calcio tutto razionale e programmato, contro lo
schematismo dei moduli, voglio la fantasia al potere.
E il talento. Quello che Baggio ha stampato anche nella
faccia, bella, intelligente e diversa da quelle che
nascondono il talento con una espressione da scemo del
villaggio. Quel talento che si coniuga col mistero, quello
che non sai da dove viene, ma che c’è e che sconfigge
ogni logica. Quel talento che è capace di ricacciare nel
dimenticatoio il ginocchio scricchiolante dopo quella
torsione che l’ha costretto per tre mesi a stare lontano
dai campi di gioco. Quella forza fatta di intelligenza e di
leggerezza che hanno solo i grandissimi e che se ne frega
dei trentacinque anni e di un fisico già altre volte
saccagnato da incidenti.
I freddi ragionatori diranno che un Baggio ai Mondiali
riaprirebbe le eterne diatribe sulle staffette con Totti,
con Del Piero, con chissenefregachi, che la squadra per il
Giappone è già rodata, che in questi ultimi tempi lui non
ha giocato nemmeno un’amichevole. Ma il calcio è fatto di
colpi di magia, meglio se all’ultimo minuto. Di partite
prese in mano e raddrizzate contro ogni logica, come in
Italia-Nigeria ai Mondiali del ‘94, quando Baggio ci fece
vedere un altro incantesimo, un altro miracolino.
Diceva Pasolini: «Il
calcio è l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo».
Una celebrazione sacrale che implica il rito, la liturgia,
la fede. E che prevede, ovviamente, anche la presenza del
gran sacerdote, il numero 10, che è ben di più di un ruolo
o di un numero. E’ l'uomo in cui si sintetizzano i tratti
del genio e della fantasia, oltre che della visione
complessiva del gioco. Baggio è tutto questo.
Domenica scorsa l'ha dimostrato con assist millimetrici e
con un gol di elementare bellezza. A dispetto
dell’operazione di 77 giorni prima ha fatto ruotare la
gamba infortunata e ha trovato la porta in semirovesciata.
La dea Eupalla, di breriana memoria, ha guidato il balùn là
dove doveva essere. E nello stadio, trasformatosi in un
santuario in delirio, gli striscioni sentenziavano: «Per
l'Italia un oltraggio i Mondiali senza Baggio».
Forse il Trap ha bisogno di conferme. Di qualche magia che
smentisca ancora la cattiveria di chi pensa che il talento
di Baggio sia solo il risultato di episodi fortuiti. E
allora il mio consiglio è di trovare un posto in tribuna,
domani, al Delle Alpi. Un gol di Baggio, che mi farebbe
interisticamente felice fermando la rincorsa della Juve,
sarebbe abbastanza come passaporto per il Giappone?
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